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Jackfruit: il frutto che salvò lo Sri Lanka

Quando andai per la prima volta in Sri Lanka mi venne detto che se avessi mangiato un pezzo di jackfruit mi sarei assicurata un nuovo viaggio in quella terra baciata dal sole e impregnata di armonia.

Nonostante non fossi riuscita a trovarne un po’, sarei tornata nell’arco di pochi mesi: decisi subito, infatti, che avrei dovuto esplorare con più calma quel Paese così ricco di bellezza. In quell’augurio, però, trovai immediatamente il valore che veniva attribuito al jackfruit, che non è un semplice frutto.

Lo Sri Lanka salvato da un frutto

Il riso sta alla base dell’alimentazione srilankese, ma il Paese si trovò in grave difficoltà quando, nel 1815, le forze britanniche occuparono l’isola e adibirono i terreni adibiti a risaie con piantagioni di tè, cannella e gomma per alimentare le più remunerative esportazioni.

Poi, nel 1915, un membro del movimento per l’indipendenza dello Sri Lanka – Arthur V Dias – che era stato condannato a morte dagli inglesi per il suo presunto ruolo in una rivolta, fu liberato e si dedicò anima e corpo a combattere contro il dominio britannico. Si rese presto conto che il Paese si sarebbe presto trovato ad affrontare una carestia a causa delle coltivazioni di riso che continuavano a diminuire e per colpa dei nativi che abbattevano gli alberi di jackfruit. Per evitare l’orribile carenza di cibo che si era abbattuta sull’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, Dias decise di convincere i singalesi a ripristinare le piante di jackfruit per garantire sicurezza e autosufficienza alimentare.

Dias importava semi di jackfruit dalla Malesia, visitava i villaggi per distribuire piantine e, con il tempo, la sua campagna ha ispirato l’apertura di molte piantagioni. Ancora oggi è considerato un eroe nazionale e i bambini imparano a conoscerne la storia sui libri di scuola.

Il jackfruit ha continuato a salvare lo Sri Lanka anche negli anni Settanta, quando una combinazione di inflazione, siccità e carenza di cibo spinse lo Sri Lanka sull’orlo del collasso, e anche nel recente periodo di Covid, quando molte persone nei villaggi rurali hanno perso il reddito e ci sono volute settimane o addirittura mesi prima che i programmi di assistenza sociale del governo raggiungessero i borghi remoti.

Del Jackfruit, come del maiale, non si spreca niente

In Occidente viene presentato come un’alternativa vegana alla carne, vista la consistenza, ed è da qualche anno annoverato tra i prodotti di tendenza, come il kimchi coreano.

È il frutto più grande del mondo e ha una buccia ricoperta da caratteristiche protuberanze appuntite, che cambia colore – da verde a giallo – man mano che la maturazione avanza. In cucina si utilizza il frutto acerbo, mentre quello maturo viene mangiato crudo come un mango o una pesca. Non è, quindi, solo il frutto della fame ma anche un delizioso ingrediente per curry da cuocere lentamente in pentole di terracotta. I baccelli sono ancora più buoni se gustati con un pizzico di sale, mentre i semi vengono bolliti. Le sue foglie, invece, vengono utilizzate nella cucina ayurvedica per combattere il diabete. Come del maiale, insomma, non si spreca niente.

Ricco di carboidrati, per tradizione viene utilizzato soprattutto nella cucina casalinga, ma negli ultimi tempi il jackfruit è arrivato anche sui fornelli dei ristoranti sotto forma di deliziosi hamburger, perfetti anche per i vegani, o di tenere cotolette condite con salsa piccante.

Infine, per sognare, 10 foto per viaggiare in Sri Lanka.


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CHI SONO

Federica Giuliani

Federica Giuliani, giornalista e storyteller, viaggio per raccontare luoghi e cibi dal mondo. Il blog Travel To Taste è un marchio ®, per scrivere delle mie esperienze di viaggio narrate attraverso profumi e sapori: che si tratti di reportage giornalistici o di storie romanzate, passano sempre attraverso pennellate di colore ed emozione.

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