Parigi insolita: home restaurant e auto vintage

"Se amate la vita amerete la Francia", si diceva all'inizio di Caccia al Ladro di Alfred Hitchcock, e credo che la frase ben si addica anche alla sola Parigi.

È una città viva, che ha saputo andare avanti a testa alta anche dopo i recenti attentati e che vuole, ostinatamente, far vedere al mondo quanto è bella.

Se volete vedere una Parigi insolita, dovete provare un paio di esperienze che vi faranno entrare a contatto con le persone e vi mostreranno le vie e i palazzi in un modo diverso.

 

VizEat: cenare a casa di sconosciuti

 

cena vizeat

In Italia c'è molta polemica intorno agli home restaurant. I ristoratori sono arrabbiati perché vedono potenziali concorrenti all'orizzonte; le persone comuni, invece, lamentano la mancanza di una legislazione in fatto di norme sanitarie. In Francia sembra essere diverso. Pare che il pubblico abbia accolto molto bene VizEat e l'opportunità di ospitare e farsi ospitare intorno a una tavola conviviale, con l'opportunità di conoscere nuove persone e mangiare qualcosa di diverso. In pratica, dopo essersi registrati, si cerca un evento e ci si prenota. La cosa interessante è che si può scegliere tra social dinner in tutto il mondo, così se si ha in programma un week end a Barcellona, ci si può prenotare da casa prima di aprtire. Io e il mio gruppo abbiamo avuto la fortuna di cenare da Diane, che oltre a essere una meravigliosa ospite dalla vita avventurosa, ha anche una casa con una terrazza dalla strepitosa vista su Parigi su cui alleva le api. Così, tra un calice di champagne, un pollo al curry e moltissime risate abbiamo parlato di noi e sognato di poter restare lì ancora un po'. Il cibo, per me, non conosce frontiere e questo è un ottimo modo di approfondire una cultura e, perché no, farsi nuovi amici.

 

Parigi da vedere a bordo di una 2CV

 

2CV

Stanchi di camminare e correre su e giù per le scalinate della Metro? Oppure, semplicemente, avete voglia di godervi la Ville Lumière in un modo insolito? Un tour a bordo di una 2CV è, forse, la scelta più divertente che potreste fare. Il progetto 4 roues sous 1 parapluie è nato nel 2003 per dare un nuovo servizio ai turisti che vogliano assaporare l'arte di vivere francese.

Ma come è nata la 2CV?

Le origini della piccola auto francese risalgono alla metà degli anni Trenta, quando Pierre-Jules Boulanger venne chiamato a sistemare i bilanci della Citroën, che nel 1934 aveva rischiato la bancarotta per realizzare la rivoluzionaria Traction Avant. Boulanger riuscì nell'intento e arrivò il momento di concedersi una vacanza in Auvergne.

In questa fertile regione della Francia scoprì che eran oin pochi a possedere un'auto e allora prese il suo taccuino nero e scrisse "Voglio quattro ruote sotto a un ombrello, in grado di trasportare una coppia di contadini, cinquanta chili di patate e un paniere di uova attraverso un campo arato, senza rompere un uovo"; aggiunse che avrebbe dovuto essere economica, affidabile e semplice. Tornò in azienda, consegnò le direttive al progettista a cui affidò il compito di creare un'auto sostitutiva dei due cavalli che ogni contadino usava in campagna. Così, nel 1939, nacque la TPV (trés petite voituretrés) ma per scegliere il giusto prototipo ce ne vollero 250. Nel 1940, però, le nuvole nere della Seconda Guerra Mondiale oscuravano i cieli d'Europa, le truppe naziste aggiravano la linea Maginot e valicavano il confine con la Francia. Così, lo stesso Boulanger decise di far distruggere tutti i prototipi della TPV perché non cadessero in mani naziste. Si sarebbe scoperto solo negli anni Ottanta che tre prototipi sopravvissero, nascosti sotto al tetto di paglia di un edificio del centro prove Citroën. Nel 1945 Boulanger pensò a dare alla futura 2CV un aspetto più gentile, convocando il designer italiano Flaminio Berton. Il successo fu travolgente e il resto è storia.

Consigli per il soggiorno

Per dormire potete scegliere l'elegante The Molitor Hotel, un po' fuori mano ma vicino alla Metro con cui potrete muovervi in comodità. Inaugurato nel 1929 era famoso per le sue due piscine olimpioniche e l'atmosfera avant-garde. Chiuso nel 1989 e dichiarato monumento storico, l'edificio divenne il luogo prediletto dagli artisti. Oggi è un grande albergo di cui l'arte è parte integrante e che include la SPA Clarins più grande d'Europa.

Per cenare, poco distante dall'hotel sempre nel 16° arrondisement, c'è la Grand Cascade: 1* Michelin. Uno splendido padiglione del 1850, a pochi passi dalla Grande Cascata del bois de Boulogne dove gustare una cucina raffinata sotto la maestosa rotonda o sulla splendida terrazza.

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Parigi gourmet: a scuola da Alain Ducasse

Non mettevo piede a Parigi da 13 anni e quello di allora fu un viaggio piuttosto faticoso. Ero convalescente da una brutta frattura alla gamba destra e, nonostante il fisioterapista mi avesse sconsigliato di partire, non ho ceduto allo sconforto (e al dolore) partendo per un week end nella Ville Lumière.

Da quel lontano 2003 non ho più pensato di tornare, ma adesso sono felice di aver trascorso tre intensi giorni in quella Parigi che, nonostante i recenti tormenti, continua a splendere.

Tra le tante esperienze vissute, quella che forse mi ha più emozionata è stata la lezione nella scuola di Alain Ducasse, genio della gastronomia francese.

Chi è Alain Ducasse?

Autore di una cucina essenziale, propone una versione dell'alta cucina che si ispira alla natura e al rispetto delle risorse. Per Ducasse una buona cucina è fatta per il 60% dalla qualità degli ingredienti e per il 40% dalla tecnica (a cui io aggiungerei anche un po' di amore per il cibo), rappresentando quello che è per me il mangiare bene.

È il primo chef al mondo a possedere tre ristoranti in tre città diverse insignite con tre Stelle Michelin: Le Louise XV, all'interno dell'Hotel de Paris a Monaco, l'Alain Ducasse di Parigi e il Jules Verne sulla torre Eiffel. Nonostante tutte queste stelle, non bisogna scordare che Alain Ducasse è cresciuto in una fattoria ed è lì che le materie prime sono diventate il cuore della sua cucina. "Bisogna consumare con maggiore etica, utilizzare meno proteine animali", spesso dice, aggiungendo che è necessario proteggere la biodiversità e combattere le multinazionali. Per lui gli chef devono rappresentare il proprio territorio, utilizzando alimenti di stagione e i giusti vini. Così la cucina del futuro viene immaginata etica, salutare ma ricca di gusto.

La scuola di cucina

scuola ducasse

Entrando nei settecento metri quadri della scuola situata nel 16° arrondissement di Parigi si viene colti da un po' di timore reverenziale. Almeno questo è quello che prova una come me, per cui Ducasse è una sorta di figura mitologica. Aperta nel 2009, è diventata un punto di incontro per gli appassionati di cucina (come accade anche da Bocuse a Lione) che vogliano essere chef per almeno un giorno. Lo spazio, ideato dal designer Pierre-Yves Rochon, è composto da quatro cucine, un negozio dove reperire tutti gli strumenti utili in cucina e una cantina di vini. I corsi proposti sono moltissimi e sono adatti a tutte le esigenze: a partire da 90 euro si possono imparare i segreti dei grandi chef. Ogni corso, infatti, è approfondito e insegna trucchi, metodi e astuzie. Lo staff è tutto estremamente qualificato e incarna il proverbiale savoire faire di Ducasse.

La lezione è stata molto divertente (anche grazie allo strepitoso gruppo di blogger e giornalisti di cui facevo parte) e ho finalmente imparato a sfilettare il pesce.

Grazie ad Atout France e a Paris Official


Lione | A scuola da Paul Bocuse

 

Sognate di diventare chef o semplicemente volete imparare a realizzare qualche piatto in maniera magistrale? Se pensate di trascorrere una vacanza a Lione potete partecipare a uno dei corsi organizzati nel nuovissimo Institut Paul Bocuse, per carpire i segreti del più famoso chef di Francia, inventore della nouvelle cuisine.

Il 5 novembre 2012 è stata inaugurata nel cuore di Lione la sede di questa università privata parificata che, al termine del ciclo di studi, vanta il 100% di occupazione per i propri allievi.

Ma se il vostro desiderio non è quello di cambiare vita, potete dedicare una serata o un week end a uno dei corsi per amatori, che si svolgono in inglese o in francese. Al costo di 130 euro circa e prenotandovi sul sito potrete scegliere di scoprire le tecniche di pasticceria o della perfetta pasta fresca. A partire da 60 euro, invece, le serate dedicate alla degustazione: formaggi, vini, caffè e foie gras.

A proposito di foie gras, la mia passione, aprendo un’ostrica e affettando i porri, una della ricette eseguite durante la privilegiata lezione mi ha incantata per l’armonia perfetta dei sapori: la Royale di foie gras e crema di castagne

foie gras

ingredienti: 150 di foie gras cotto, 20 cl latte, 20 cl panna, 2 uova intere, 3 tuorli, sale, pepe | 150 di castagne cotte, 30 gr di scalogno, 25 cl brodo di pollo, 25 cl panna, 25 gr burro, sale, pain d’épice (già pronto), 30 burro chiarificato

Scaldare il latte e la panna, frullarli con il foie gras tagliato a pezzi. Unire le uova e passare tutto nel colino conico. Schiumare e versare il tutto in terrine mono porzione. Cuocere nel forno a vapore o a bagnomaria a 180°C per 15 minuti.

Pulire e tritare le castagne, metterle in una casseruola con il burro e completare la cottura nel brodo di pollo. Frullare il composto.

Tagliare il pain d’épice a quadratini di circa 5 centimetri, spennellarli con il burro chiarificato e farli tostare in forno a 130°C.

Impiattamento: emulsionare la crema di castagne e versarla sul foie gras, decorare con qualche fettina di castagna e il pain d’épice croccante.

 


Bagel, storia e ricetta del panino più goloso di New York

La storia del bagel nasce molto tempo fa quando, all'inizio del Seicento, veniva dato in omaggio alle partorienti come augurio di buona sorte. La sua forma ad anello, infatti, simboleggiava il ciclo della vita. Di origini polacche, il bagel raggiunse tutto il mondo anglosassone grazie alla comunità ebraica ashkenazita - proveniente cioè dall'Europa dell'est -, che ne portò con sè la ricetta durante le migrazioni.

Fu a New York che si sviluppò l'arte del bagel. A inizio Novecento trecento panettieri fondarono un’associazione chiamata Bagel Bakery Local 388. Questo gruppo di artigiani decise che solo i figli dei membri avrebbero potuto continuare la tradizione. Si narra, infatti, che a quei tempi fosse più semplice laurearsi in medicina che diventare apprendista in uno dei 36 bagels shop di New York e zone limitrofe.

La particolarità di questo panino sta nella cottura, che necessità un'iniziale bollitura in acqua per poi terminare con la doratura in forno. Il bagel sta alla base della più tradizionale colazione newyorkese e per convenzione deve essere tagliato orizzontalmente, tostato e poi farcito con formaggio, salmone, pollo ma anche con burro e marmellata.

A New York - ma anche a Londra o in altre città anglosassoni - ne potete trovare di vario tipo: plain (naturale), whole wheat (integrale), onions (con le cipolle), sesame seeds (con semi di sesamo), poppy seeds (con semi di papavero), cinnamon-raisin (con cannella e uvetta) ed everything (di tutto un po’).

I miei preferiti hanno il ripieno salato e, nonostante la preparazione sia un po' lunga, ogni tanto mi piace prepararli in casa. La cosa migliore è farne un po' e congelarli, in modo da averli già pronti per la colazione dei giorni di festa. Io dalla ricetta originale ho tolto lo zucchero, che tollero male, e il malto ma se volete potete aggiungerne un po' per dare ai bagel il tipico gusto dolciastro.

Bagel - ricetta

Bagel in lievitazione

Ingredienti: 500 g di farina 00, 1/2 cubetto di lievito di birra, 2 cucchiaini di sale, 400 g circa di acqua per l'impasto, semi di sesamo per decorare, 1 tuorlo sbattuto

Sciogliere il lievito nell'acqua tiepida, aggiungere la farina, il sale e impastare fino a ottenere una pasta eslastica. Lasciare lievitare per almeno due ore (io l'ho lasciata tutta la notte). Mettere l'acqua a bollire in una petola capiente, dividere l'impasto in parti uguali e formare delle ciambelle che abbiano un buco di almeno tre dita. Bollire i bagel uno alla volta circa 5 minuti, tenendoli immersi con un mestolo, e poi adagiarli su una placca ricoperta da carta da forno. Spennellare ogni ciambella con un po' di tuorlo e cospargere di semi di sesamo. Infornare per circa 20 minuti nel forno già riscaldato a 180°C.

Bagel dopo la bollitura

Bagel cotti


San Diego dai mille sapori

Quattro giorni oltre Oceano sono pochi lo so, ma per me è stata una buona occasione per mettere piede per la prima volta negli USA.

Calma, rilassatezza e giovialità sono ciò che mi hanno da subito colpita di San Diego, oltre all’onnipresente profumo di fiori. Prati perfettamente tagliati, fiori colorati, alberi potati: tutto curato nei minimi dettagli. Sarà per il fatto che San Diego è una città soprattutto militare, ma ovunque regnano silenzio e ordine, nonostante le migliaia di macchine.

Muoversi a piedi è purtroppo impossibile a causa delle distanze enormi ed è un peccato, perché normalmente mi piace visitare le città vagando senza meta, osservando luoghi e genti, sperando di scovare una storia interessante da raccontare.

tabasco

Lo devo ammettere, sulla questione gastronomia sono partita molto prevenuta. Devo invece ammettere che la California non è solo hamburger e junk food, ma pesce fresco, verdure e cucina di classe, se si va nei luoghi giusti.

Il Croce’s Restaurant, ad esempio, si trova nel quartiere Gaslamp, che prende il nome dai lampioni alimentati a gas che lo illuminavano a fine Ottocento. Zona nota un tempo per la prostituzione e il gioco d’azzardo, oggi, con i suoi locali alla moda, è il cuore vitale di San Diego. Ingrid Croce è la deliziosa proprietaria dell’omonimo ristorante e jazz Club. È la vedova di Jim Croce, noto musicista morto in un incidente aereo nel 1973, che di questo locale ha fatto un luogo per ricordare il marito, per accogliere sorridente ogni ospite, per mangiare bene (da ricordare l’anatra confit e lo spicy margarita, realizzato con cumino e peperoncino) e, naturalmente, per ascoltare buona musica.

margarita

L’Ocean Restaurant, invece, è il ristorante dell’Hotel Coronado, un sontuoso ed elegante albergo, rinomato tra star del cinema e uomini d’affari. Affaccia sull’Oceano, a pochi passi dalla spiaggia, per offrire un ambiente rilassato e piacevole. Per cena: ostriche, pesce crudo leggermente marinato e capesante grigliate accompagnate da mais stufato. Da bere: un Viognier, vitigno tipico delle valli del Rodano, ma rigorosamente di produzione californiana.


Budapest da non perdere: il museo di Hopp Ferenc

Quando visito una città do priorità ai mercati, perché raccontano la vita reale di un popolo, all’artigianato locale perché mi piace vedere le persone all'opera e all'esplorazione casuale, in cerca di luoghi poco conosciuti.

A Budapest, visitata qualche anno fa, ho scovato un piccolo museo di arte orientale che gli ungheresi considerano, per qualità di pezzi esposti, paragonabile al British Museum o al Louvre, soprattutto perché questo è realizzato esclusivamente grazie alla collezione privata di Hopp Ferenc.

Chi era Hopp Ferenc?

Nato nel 1833, in veste di ottico e proprietario del negozio di fotografia Calderoni, compì il giro del mondo ben cinque volte, di cui l’ultimo all’età di ottant’anni.
Alla fine del diciannovesimo secolo, grazie alle maggiori opportunità di spostamento, molte persone iniziarono a compiere i grand tour, il giro del mondo.
Il negozio di Ottica Calderoni, venne fondato nel 1821 ed era situato all’angolo tra Vàci ùt e Deak Ferenc tèr. Presto divenne il negozio maggiormente specializzato e fornito di attrezzature fotografiche di Budapest. Durante i suoi numerosi viaggi Ferenc, amava scattare fotografie esponendole, al suo ritorno, in mostre di successo e nel 1985 fu pubblicato, in suo onore, un libro fotografico con molte delle immagini da lui scattate anche se, purtroppo, negli anni moltissime sono andate distrutte.

museo hopp ferenc

A quell’epoca la porta verso Oriente era rappresentata da Port Said, il porto nel Canale di Suez che venne aperto nel 1869 e che costituì un collegamento fondamentale per i commerci. Hopp Ferenc comprò il necessario per il viaggio, un elmetto in midollo, delle sigarette e partì per il suo primo giro del mondo nel 1882.

In India trascorse due mesi, arrivando a Calcutta e visitando Darjeeling, Agra, Benares e Jaipur per poi andare nel sud del Paese. Durante la prima visita in India, acquistò circa 300 oggetti di piccole dimensioni, probabilmente per le sue limitate finanze e per l’inesperienza nelle spedizioni; per la maggior parte oggetti riconducibili alla vita quotidiana e solo pochi relativi alla religione.

Il viaggio proseguì in Cina, che nel diciannovesimo secolo era un Paese chiuso e molto difficile da visitare, e di lei scrisse ”Hong Kong, è il più bel porto che abbia visto. Shangai ha l’attività commerciale più frenetica. Beijing è la più polverosa, ha il numero maggiore di mandarini, è la più confusionaria, ha le vie più larghe ma con la pavimentazione peggiore”. Dopo la Cina, fu la volta di Giappone, Indonesia, Malaysia, Thailandia. Da questi Paesi riportò numerose statue di Buddha nelle sue tipiche posizioni iconografiche: seduto, in piedi o sdraiato. Nella maggior parte delle immagini di Buddha seduto si nota una mano che tocca la Terra, che simboleggia la tentazione di Buddha e la sua vittoria sul demone Mara. A ricordo del Giappone, numerose stampe dai colori sgargianti e oggetti di finissimo artigianato.

Un viaggio attorno al mondo, questo museo, attraverso gli oggetti meravigliosi, le foto tridimensionali che Ferenc scattava già allora con una speciale fotocamera ed un allestimento, tematico in ogni stanza, realizzato veramente ad arte. Nell’incanto di questo luogo, la villa in cui il viaggiatore ha vissuto, ho provato grande simpatia e anche un po’ d’invidia per questo incredibile globetrotter che ha fatto più di un secolo fa, quello che spero di poter fare anch’io, almeno una volta.


Natale in Olanda: sapori e qualche curiosità

Ho scoperto l'Olanda solo da qualche anno e me ne sono subito innamorata. Per prima ho visitato Rotterdam, affascinante e vitale città del design, poi la più nota e molto frequentata Amsterdam, di cui ho amato i musei e le passeggiate lungo i canali. Successivamente ho conosciuto l'elegante Utrecht, la blu Delft e l'aristocratica Den Haag – meglio conosciuta come l'Aja – e, ogni volta, mi è rimasto il desiderio di tornare ancora molte volte.

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Come in tutto il Nord Europa, anche in Olanda il Natale è molto sentito. La neve, che normalmente scende copiosa, rende tutto ovattato creando l'atmosfera perfetta.
In questo periodo le bancarelle lungo le strade vendono dolci delizie che gli olandesi comprano prima di rientrare a casa dal lavoro. Un esempio sono gli oliebollen – letteralmente “palle di olio” - che assomigliano ai nostri bomboloni fritti, ma di dimensioni più piccole. Vengono farciti con uvetta e ribes e cosparsi di zucchero a velo. Per tradizione, durante le festività natalizie gli oliebollen vengono serviti con caffè bollente. Ottimi caldi, sono buoni anche freddi con un'aggiunta di zucchero a velo.

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In verità, la festività che in Olanda viene maggiormente celebrata è San Nicola, che ricorre nella notte tra il 5 e il 6 dicembre in onore del santo protettore dei bambini.
Nacque vicino all'attuale città turca di Antalya tra il 280 e il 342, ma non si conoscono molti dettagli sulla sua vita. Se ne sa talmente poco che la sua figura è diventata nei secoli leggendaria. Questo personaggio, infatti, in Olanda si chiama Sinterklaas e arriva dalla Spagna – dove vive nel resto dell'anno - a metà novembre a bordo di un cavallo bianco, Amerigo, e riparte il 5 dicembre, dopo aver riempito di dolci e regali le scarpe che i bimbi lasciano fuori dall'uscio di casa.

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Un'altra specialità che non può mancare a dicembre in Olanda sono i kerstkransjes - che letteralmente significa piccole ghirlande di Natale -; sono tradizionali biscotti al sapore di vaniglia decorati con mandorle e modellati in varie forme. In generale, però, in tutte le varianti presentano un buco centrale per poter essere appesi all'albero.

I kipperragut, infine, sono una sorta di voul-a-vent ripieni di carne, che troneggiano su tutte le tavole natalizie olandesi. Deliziosi come antipasto e facili da preparare.

E ricordate: Brengt St. Nicolaas ijs, dan brengt Kerstmis regen. Ovvero: se San Nicola porta ghiaccio, Natale porta pioggia. Quindi, preparate sciarpa e ombrello!


Twinings: il tè della regina d'Inghilterra

Il bello del passeggiare senza meta in una città come Londra è, tra le altre cose, quello di ritrovarsi a fare una breve sosta per cambiare l’obiettivo della fotocamera proprio davanti allo storico negozio della Twinings. L’azienda è stata fondata nel 1706 in questo piccolo shop sullo Strand che, ancora oggi, è l’unico al mondo ad offrire la gamma completa dei prodotti.

Twinings è stato il primo a introdurre il tè in Gran Bretagna e da quasi 200 anni è fornitore ufficiale della casa reale inglese. L’azienda, inoltre, fa parte dell’associazione di produttori che si basano su principi di commercio equo ed etico.

Il tè accompagna ogni momento della giornata di ogni inglese: il preferito è l’Assam, tè nero da servire, con un po’ di latte, in tazze di fine porcellana. In accompagnamento dolci e tramezzini salati, ma solo durante il rito delle 5 del pomeriggio.

Il negozio al 216 dello Strand è piccolo e accogliente, con l’arredamento in legno e il bar al fondo, che rimane un po’ riservato. In esposizione le duecento miscele, distribuite ormai in tutto il mondo. Alla sua apertura era noto come “Golden Lion perché, non esistendo ancora i numeri civici, il fondatore pensò di scegliere come simbolo aziendale un leone d’oro, rimasto poi emblema del marchio.

Per preparare un buon tè all’inglese procedere in questo modo:

  • Bollire l’acqua in un pentolino e versarla in una teiera.
  • Riscaldare la teiera facendo girare l’acqua bollente al suo interno e riversarla nel pentolino.
  • Mettere nella teiera le foglie di tè (1 cucchiaino a testa + 1 per la teiera)Versare l’acqua nella teiera e lasciare in infusione per alcuni minuti.
  • Il latte, se gradito, si aggiunge nella propria tazza prima di versarvi il tè.

 

È buona norma non lasciare la teiera vuota dopo aver servito tutti gli ospiti. Il tè si beve avvicinando tazza e piattino alle labbra, non ci si china mai verso essi. Una volta bevuto un sorso, la tazza va appoggiata sul tavolo, mai tenuta in mano.

Quello del tè è un rito da godere con calma perché come qualcuno disse “ Il tè è sapere liquido”.

Curiosità: lo splendido clipper Cutty Sark, in esposizione a Greenwich e ristrutturato dopo il recente incendio, è stato costruito nel 1869 per vincere la gara del tè sulla rotta tra la Cina e Londra.

cutty sark


Viaggi e cibo: mangiare bene senza paura

Il nome del mio blog spiega inequivocabilmente il mio stile di viaggio. Eppure, mi si chiede ancora:”Ma come fai con il cibo? Non stai male a mangiare quelle cose?“. Viaggi e cibo, per me, sono un binomio indissolubile ed è evidente quanto mi piaccia la cucina etnica, così come la curiosità che metto davanti a un ingrediente sconosciuto o a un piatto tradizionale, ma capisco che non tutti abbiano il coraggio di assaggiare tutto ciò che capita. Nonostante ciò, però, mi irrigidisco quando sento giudizi e commenti su qualcosa che non si conosce (se non lo hai assaggiato non puoi sapere che sapore ha) o, peggio, quando i pregiudizi offuscano le menti. Di recente, ad esempio, qualcuno mi ha detto che è inutile degustare i vini turchi perché tanto lì non sanno vinificare. (Vi svelo un segreto: i turchi vanno a studiare in Francia e in Australia, dove i vini li sanno fare eccome).

Sarà fortuna (non del principiante) ma non ho mai avuto malesseri dovuti al cibo e, anche se magari verrò smentita durante il prossimo, imminente viaggio a Hong Kong e in Thailandia, vi racconto come mi comporto io.

pesce essiccato Hong Kong

Mangiare nei mercati

Nella maggior parte dei Paesi i mercati sono i luoghi più vitali e colorati dove trovare ottimo cibo. È quasi sempre preparato al momento e a vista, in modo che chi compra possa verificare la freschezza degli ingredienti.

Scegliere ristoranti frequentati dai locali

In questo modo eviterete brutte sorprese. I ristoranti dove si mangia peggio sono, ovviamente, quelli per turisti, che propongono piatti improbabili e dalla dubbia qualità.

Improvvisare

I ristoranti e le bancarelle più affollate sono il posto dove si trova il cibo migliore. Quindi evitate di scegliere dove mangiare su una guida turistica ed esplorate il luogo, lasciandovi guidare dall’istinto. Se poi alla fine avrete mangiato male pazienza, almeno potrete prendervela solo con la vostra mancanza di accortezza e non per aver seguito un cattivo consiglio. Nel caso in cui, invece, cerchiate ristoranti quotati o che preparino un piatto particolare è bene informarsi prima.

rajasthan peperoni fritti

Non cercare la pizza ai Caraibi

Inutile dire che se cercate pizza e spaghetti all’estero pagherete un conto salatissimo avendo mangiato male. Inutile poi lamentarsi. Ma poi: perché privarsi di un fresca insalata di papaya o un riso pulao per qualcosa che mangiamo ogni giorno quando siamo a casa?

Abbandonare ogni pregiudizio

Questa, in realtà, sarebbe la prima cosa. I pregiudizi inquinano l’esperienza sotto ogni punto di vista e se si viaggia con la mente chiusa, tanto vale risparmiare i soldi e restare a casa. Se non avessi azzardato un assaggio, non avrei scoperto le ottime noci di ginko biloba della foto. Senza aprlare dell’aglio alla griglia!


On the road nelle Langhe

Viaggiare on the road, per me, è una vera passione. Così, quando Ford Italia mi ha chiesto di fare un test drive della nuova EcoSport non ho potuto far altro che accettare con entusiasmo. In una splendida giornata di sole novembrino, abbiamo messo in moto l'auto e siamo partiti per raggiungere l'Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo, nelle Langhe.

Guidare senza fretta osservando il paesaggio che scorre intorno, permette di dedicare del tempo a se stessi e di prendersi il lusso di fermarsi a scattare una fotografia o a respirare l'aria pungente del mattino. Quando poi la meta è un luogo ricco di storia e magia, il viaggio è ancora più interessante.

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Pollenzo, l'Università e la Banca del Vino

Pollenzo è un piccolo borgo sulle rive del fiume Tanaro, che divide il territorio del Roero dalle Langhe. L'antica Pollentia, di origine romana, fu fondata alla fine del II secolo a. C. e includeva un teatro, l’anfiteatro, alcuni templi e acquedotti.

Nel 1762 divenne proprietà di casa Savoia e, nel 1832, iniziarono i lavori di ristrutturazione dell’intero borgo, per decisione di re Carlo Alberto. Furono realizzate quattordici cascine, l’edificio dell’Agenzia, la torre affacciata sulla piazza della chiesa e infine la parrocchia di San Vittore, dall'insolito stile neogotico rintracciabile solo a Pollenzo.

L’Agenzia fu sede economico-finanziaria della tenuta e, nei desideri di re Carlo Alberto, sarebbe diventata una cascina-modello dove condurre esperimenti per il miglioramento nella redditività delle attività agricole.

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Alla fine degli anni Novanta qui, grazie all'iniziativa di Slow Food, fu deciso di recuperare l'intera struttura dove nacquero, nel 2004, l'Università di Scienze Gastronomiche, l'Albergo dell'Agenzia e la Banca del Vino.

Quest'ultima, in particolare, è nata per creare un archivio della migliore produzione vinicola, promuovendo la cultura del vino in Italia. Nelle splendide cantine ottocentesche, dove emergono alcune parti dell'antica Pollentia, sono stoccate circa trecento etichette nazionali selezionate da una commissione di esperti. Qui le bottiglie possono invecchiare in casse di legno nella sicurezza dell'habitat perfetto: 16°C con l'80% di umidità. I vini selezionati, inoltre, sono posizionati in modo da ricreare un ideale viaggio nell’Italia del buon bere accompagnati da pannelli esplicativi in doppia lingua, italiano e inglese. Presso la Banca del Vino si svolgono degustazioni prenotabili anche online.

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Nota: La Ford EcoSport è un nuovo SUV compatto, comodo e maneggevole. Mi è piaciuta la seduta regolabile, che permette di alzarla a un'altezza utile a vedere meglio la strada. Motore silenzioso e fluido, così come il cambio sequenziale. Spazioso ma non troppo ingombrante, soprattutto perché non ha più (c'è solo come optional) la ruota di scorta sul portellone.

Nota bis: Non sono un'esperta di auto, ma viaggio molto on the road e guido qualsiasi tipo di auto, compresi grossi fuoristrada nel deserto. Insomma, qualcosa ne capisco. ;-)


Bangkok | Jim Thompson e la seta

Un luogo affascinante tanto quanto la storia di cui è testimone. La casa di Jim Thompson si trova nella zona più commerciale di Bangkok ma, una volta varcato il grande cancello di legno, ci si ritrova in un'oasi tranquilla appartenente a un'altra epoca. James H. W. Thompson fu un imprenditore originario del Delaware, che visse un'esistenza davvero avventurosa. Intraprese gli studi di architettura, ma durante la Seconda Guerra Mondiale decise di arruolarsi come volontario nell’esercito americano, spinto dalla voglia di viaggiare e conoscere il mondo. Venne assegnato a quella che divenne la CIA e come agente segreto, dopo aver operato in Europa e Asia, si ritrovò a Bangkok alla fine della guerra con la resa del Giappone. Deciso a rimanere nella città thailandese, dove intravedeva possibilità di sviluppare attività economiche, torno negli USA con l'intenzione di convincere la moglie a seguirlo. Invece, una volta tornato a casa, trovò una richiesta di divorzio che lo convinse a trasferirsi stabilmente a Bangkok. Pare che inizialemente si dedicò all'attività alberghiera, ma quando visitò l'Isaan, dove si produceva seta grezza grazie alla massiccia presenza di gelsi, decise di recuperare un'arte già esistente nel Paese ma quasi in estinzione.

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Ideò così la Thai Silk Company e decise di impostarla più come una cooperativa che come un'industria. Gli operai lavoravano soprattutto dalle loro case ed erano pagati in base a quanto producevano; Thompson, inoltre, manteneva un rapporto diretto con le famiglie perché periodicamente si recava ai domicili per controllare la qualità della seta prodotta. In questo modo riuscì ad aiutare moltissime famiglie povere e soprattutto le donne, che avevano modo di lavorare e pensare alla famiglia.

Con il tempo, divenne un appassionato della cultura thailandese, tanto da collezionare molte opere d'arte e creare una straordinaria casa dove esporle. Nel 1958, infatti, iniziò a creare la costruzione di una casa ricostruendo sei abitazioni tradizionali portate, ad esempio, da Ayutthaya. Nella realizzazione di questo luogo cercò l'autenticità architettonica, aggiungendo qualche tocco personale.

seta

Dopo la scomparsa di Jim Thompson, avvenuta in circostanze misteriose in Malesia nel 1967 (Fu rapito? Si è suicidato? Ha scelto di sparire?), la casa è diventata un museo dove ripercorrere le sue orme, passeggiando tra pregiate statue, colorati arazzi e spledide cercamiche. La visita è guidata, ma al termine nessuno vi impedirà di godere del lussureggiante giardino e sognare di vivere tra quelle mura impregnate di avventura. La casa di Jim Thomposon si trova in Soi Kasemsan Road 2, adiacente a Rama I Road.

Consiglio di lettura

La casa di Jim Thompson mi ha fatto tornare in mente un libro bellissimo e poetico letto qualche anno fa. Si intitola Seta ed è stato magistralmente scritto da Alessandro Baricco. Ne è stato tratto anche l'omonimo e piacevole film diretto da François Girard.


Macao, caos e biscotti

Macao era una destinazione rimasta troppo a lungo nel cassetto dei desideri. Uno di quei posti che immaginavo di vivere a fondo e con la calma che contraddistingue le mie esplorazioni. Già prima di partire, però, troppe persone mi avevano detto di non dedicarle più di una giornata perché non ne valeva la pena. Così ho fatto e l'ho visitata in una giornata, rientrando la sera a Hong Kong e ringraziando con il pensiero chi mi aveva avvertita.

Macao si affaccia sulla parte meridionale del Mar Cinese e si trova sul lato occidentale del Fiume delle Perle. L'arrivo via mare - circa due ore di barca veloce da Hong Kong - è tanto scenografico quanto complicato. Tra i tanti controlli dell'immigrazione e riuscire a capire come raggiungere il centro, ci va un po' di tempo per decidere dove dirigersi.

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Se, come me, non si è interessati al gioco d'azzardo e alle mille gioiellerie di cui è disseminata la città, l'unica zona godibile è la parte interna dalle origini coloniali. Piazza del Senado è il cuore di tutto: ristoranti, caffetterie e negozi sono dislocati in questa zona pedonale. Da qui non resta che vagare, curiosando nelle botteghe e assaggiando le specialità locali.

Macao è stato il primo e l’ultimo paese in Asia a essere colonizzato dagli europei. I portoghesi, infatti, vi si stabilirono nel XVI secolo e lo abbandonarono nel 1999.
Oggi è una regione amministrativa speciale della Repubblica Popolare Cinese, governata secondo il principio di “un paese, due sistemi”. Nonostante non sia più una colonia, la lingua ufficile è ancora il portoghese, insieme al cantonese, e le influenze europee sono evidenti nelle piastrelle azzurre che indicano i nomi delle strade, nella pavimentazione stradale e nei rigogliosi giardini.

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Si dice che Macao sia un Paese di lunga vita: qui l'età media è di 84,4 anni e, nella classifica mondiale, occupa il secondo posto dopo Monaco. Pare che questo sia dovuto alla rapida crescita economica, anche se una grossa fetta delle entrate proviene dal gioco d'azzardo (Macao ha superato Las Vegas in quanto a fatturato).

Per nulla rapita dalle imponenti e pacchiane architetture dei casinò, ho trascorso il tempo a osservare dettagli, rifugiandomi a volte nella tranquillità dei templi. Per le strade c'era troppo caos creato da persone di fretta, senza interesse vero per ciò che avevano intorno.

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Tra i sapori che mi sono rimasti impressi c'è quello dei tradizionali biscotti di mandorle, un souvenir molto amato dai turisti. Assomigliano alle tortine della fortuna cinesi e quasi ogni pasticceria ne offre una diversa variante. Nacquero nel 1920 ed ebbero subito una grande successo di pubblico. Ancora oggi esistono dei negozi che li producono da oltre settant'anni, come la Yee Kee Bakery e la Choi Heong Yuen Bakery.

Il procedimento per preparare questi biscotti di mandorla è semplice. È sufficiente fare un impasto con farina, strutto, zucchero e mandorle tritate, inserire il composto in stampi singoli e aggingere all'interno delle mandorle intere. Cuocere nel forno a 180C° per circa venti minuti. Anche se esistono molte aziende che producono i biscotti industrialmente, nelle pasticcerie del centro di Macao vengono ancora preparati a mano.

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