Siria | Caffè amaro

Nahr al-`Assi, l’Oronte, è il fiume ribelle che attraversa Hama, tranquilla cittadina situata tra Aleppo e Damasco. Nasce dai versanti del Monte Libano e dell’Antilibano bagnando da sud a nord, tra gli altri Paesi, la Siria.

Hama risale all’epoca ittita ma divenne poi un importante centro per gli aramei, popolo nomade semitico che abitava la Mesopotamia, menzionato nella Bibbia ebraica. Subì numerose invasioni e conquiste e per molto tempo fu, dal punto di vista architettonico, una delle città siriane più interessanti. Tuttavia negli anni ’80 i Fratelli Musulmani, una delle più potenti organizzazioni islamiche che ha un approccio all’Islam di tipo politico, organizzarono una violenta rivolta contro il regime in vigore provocando migliaia di morti e danni devastanti al patrimonio architettonico della città.

norie

Tra le poche strutture che si salvarono ci sono le norie: Grandi ruote di legno in continuo movimento che producono un sinistro quanto suggestivo cigolio che viene poeticamente definito “canto”. La loro origine risale al IV secolo d.C. e furono create per convogliare l’acqua dell’Oronte nell’acquedotto cittadino che la faceva defluire verso i campi e gli orti poiché il terreno intorno al fiume è notevolmente più alto rispetto al livello del corso d’acqua. Di oltre 30 norie esistenti in epoca medievale attualmente in città se ne trovano 17 mentre è possibile trovarne numerose altre nelle campagne circostanti.

Ad Hama sono approdata grazie ai consigli di una famiglia siriana, di Aleppo, conosciuta nel parcheggio delle rovine di Ebla, dove avevamo campeggiato la notte precedente illuminati da una bellissima luna piena. Gentilmente lui si è avvicinato, incuriosito dalla tenda sul tetto della macchina e lei timidamente ci ha offerto una delizia locale: il caffè al cardamomo.

Si prepara facendo bollire brevemente la polvere di caffè con il cardamomo in semi o in polvere. Viene servito in tazzine simili a quelle tipicamente italiane ma rigorosamente amaro. Va bevuto lentamente per non sorbire anche la polvere di caffè che si deposita sul fondo della tazzina e, malgrado normalmente non mi piaccia amaro, il caffè siriano è delizioso semplicemente così, senza zucchero. Dopo aver bevuto insieme, la gentile famiglia ha insistito per accompagnarci ad Hama. Avevano paura ci perdessimo…ma come pensavano fossimo arrivati lì dall’Italia?

In ogni modo, per non essere scortesi, ci siamo fatti accompagnare nella deliziosa e tranquilla cittadina e ci siamo fatti anche strappare la promessa che saremmo passati a trovarlo nel Bazaar di Aleppo nel suo negozio, qualora fossimo tornati.


Budapest | Caffè nero bollente

Nell’Opera “L’elisir d’amore” di Gaetano Donizetti, l’aria finale del secondo atto recita:“Egli è un’offa seducente, pei guardiani scrupolosi, è un sonnifero eccellente, per le vecchie, pei gelosi; dà coraggio alle figliuole, che han paura a dormir sole; svegliarino è per l’amore più possente del caffè.

Il termine arabo qahwa indicava il succo prodotto da alcune bacche scure dall’effetto eccitante e stimolante. Presto da qahwa si passò alla parola turca kahve attraverso un progressivo restringimento di significato, parola che poi, in italiano, è diventata caffè. Non tutti sanno che attorno a questa bevanda aleggiano molti miti e leggende.

Una di queste narra che il caffè sia stato scoperto dall’Imam di un monastero arabo, il quale preparo’ un decotto e lo fece gustare a tutti i monaci del convento, che rimasero svegli senza fatica tutta la notte. Una più nota storiella racconta invece di Kaddi, pastore arabo, che avendo portato al pascolo le sue capre, notò meravigliato come esse mostrassero segni di eccitamento dopo aver mangiato le bacche di una pianta che cresceva spontanea. Il pastore non riuscendosi a spiegare l’accaduto, lo sottopose al vecchio abate Yahia il quale, intuendo quali fossero le proprietà della pianta, ne fece una bevanda amara e ricca di calore che rinvigoriva il corpo, liberandolo da sonno e stanchezza.

Qualunque sia la sua origine, i resoconti di molti viaggiatori testimoniano che l’uso del caffè fosse piuttosto diffuso in tutto l’Oriente Islamico già alla fine del XVI secolo. Nel teatro, nella musica e nell’arte è da sempre stato menzionato. Lo raffigura Manet nell’opera Coppia al “Pere Lathuille”. Il caffè’ non manca nemmeno in uno dei numerosi schizzi di Scipione Vannutelli, disegnatore ed apprezzato pittore romano attivo nella seconda meta’ dell’Ottocento. Raffinato ed elegante è il caffè dipinto dall’impressionista francese Renoir in “Alla fine della colazione”.

Personalmente posso dire di aver imparato ad apprezzare questa bevanda solo da qualche anno, quando un sommelier, con accurata delicatezza, mi ha insegnato ad assaporarlo amaro. Non ha preteso che eliminassi lo zucchero da subito ma mi ha consigliato di versare nella tazzina un po’ di zucchero e di non girarlo con il cucchiaino. Avrei dovuto muovere la tazzina in senso circolare in maniera che lo zucchero togliesse solamente l’amaro di fondo ma non ne alterasse l’aroma. Per qualche tempo così ho fatto poi, senza nemmeno accorgermene, ho iniziato a berlo completamente amaro e devo dire che non potrei più farne a meno.

Quando ho visitato Budapest sono rimasta colpita piacevolmente dai suoi bistro. L’Ungheria conserva una tradizione di caffè letterari che non hanno nulla da invidiare a quelli viennesi. Fin dai primi dell’Ottocento intellettuali, scrittori ed artisti avevano l’abitudine di incontrarsi nei caffè. In alcuni, talvolta, avevano sede addirittura le redazioni di riviste periodiche. Dopo un declino subito nella seconda metà del Novecento, oggi hanno riacquistato fascino ed importanza per gli ungheresi.

Moltissimi sono i bistro dal sapore coloniale, con divani in pelle, grandi ventagli in foglie di palma, mensole piene di libri di ogni genere e musica rilassante in sottofondo. Sono luoghi dall’atmosfera elegante in cui riposarsi e riscaldarsi durante le rigide giornate invernali. Senza rinunciare a un delizioso e aromatico caffè che, ho scoperto, non sono capaci a fare solamente gli italiani.


Londra da assaggiare: birra, formaggio e fish and chips

Come ogni grande città Londra provoca gioie e dolori, facendosi amare o detestare da chi ne percorre le vie. Io per lei nutro un amore viscerale, un sentimento tanto forte da far dimenticare ogni angheria subita. Così ho deciso di trascorrere nella città britannica un’intera settimana, invece del solito fugace week-end, che mi lascia sempre la sensazione di non aver concluso la sua conoscenza. A Londra è possibile fare colazione con il sole, pranzare con la pioggia e cenare con il vento che, come la cementite spennellata sulla tela di un pittore, prepara la metropoli a qualcosa di nuovo: basta essere pronti.

Parlando di gastronomia, una delle cose che non conoscevo è la Cask Ale o Birra a caduta. Si tratta di un tipo di spillatura, che ha esaltato il sapore della birra lungo la sua secolare storia. Tradizionalmente in ogni villaggio esisteva un microbirrificio, che produceva la birra per la comunità conservandola in cantina in botti di rovere, da cui veniva spillata direttamente (senza l’aggiunta di CO2 nei fusti, da cui deriva la schiuma).

Non tutti i pub la servono, ma è da provare. Per la scelta è bene farsi aiutare dall’oste, che facilmente ve ne farà assaggiare un goccio prima di servirvi. A parte la sensazione strana di bere una birra senza schiuma e non refrigerata, è un’esperienza del gusto unica. Godetene sorso dopo sorso, assaporandone ora l’amaro che si sprigiona solamente in gola, ora la freschezza dell’erba appena tagliata, per viaggiare con palato e fantasia nelle verdeggianti campagne inglesi.

Come accompagnamento, la tipica cucina britannica, ovviamente. L’Inghilterra non è famosa per i suoi piatti; si dice che non abbia una tradizione culinaria propria e che, comunque, non sia degna di essere paragonata ad altre. Io credo solo che offra poca varietà di preparazioni, ma penso altrettanto che se vengono degustate nel posto giusto meritino comunque un posto d’onore. Da provare il fish and chips da Kerbisher & Malt: piccolo locale che assomiglia a una pescheria ad Hammersmith. Interamente piastrellato e tinto di bianco e blu, offre pochi tavoli e una cucina preparata al momento. Questo ristorante è molto rinomato in città, ma trovandosi un po’ fuori dal centro è frequentato quasi esclusivamente da londinesi.

Un ingrediente tipicamente britannico, e che è facile da trovare nelle deliziose jacked potato, è il blue stilton: formaggio erborinato a pasta dura. Per potersi chiamare stilton questo formaggio deve essere prodotto nelle regioni del Derbyshire, Nottingam o Leicestershire secondo un rigoroso processo. Ha un gusto pungente ma non troppo forte ed è abitudine inglese consumarlo a fine pasto accompagnato da un Porto di qualità…o da una birra, naturalmente.


New York is a state of mind

New York vuole farsi amare in ogni modo. Il nostro incontro è stato inizialmente condizionato dalla mia diffidenza. Ho visto altre metropoli prima di lei, che mi avevano affascinato molto e non credevo che un’americana potesse essere al pari delle europee, eleganti per natura, e delle asiatiche, dal chiassoso fascino esotico. Come una donna consapevole della propria bellezza, New York si è dimostrata capricciosa. Ma il suo fascino sta anche in questo.

I suoi sotteranei misteriosi e fetidi mi hanno un po’ delusa. Pensavo infatti che tenesse di più alla propria salute, mentre ruggine e sporcizia non sono degne di una dama come lei. Ci vuole tutti ai suoi piedi, così può guardarci dall’alto dei suoi grattacieli facendoci l’occhiolino ogni tanto e richiamando la nostra attenzione con una luce, un riflesso, un colore…

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Essere snob è nel suo carattere ed è anche per questo che ci siamo capite. Io l’ho osservata curiosa, lei mi sorvegliava preoccupata. Eppure, New York, ti ha divertito scoprire di che pasta fossi fatta e della mia capacità di passare da un ristorante alla moda nell’Upper East Side a uno scantinato di Chinatown per mangiare i noodles più buoni.

A questa Grande Mela ho dato solo un piccolo morso: è troppo grande e travolgente per conoscerla e capirla al primo incontro, dovrò tornare. Non so quando sarà, ma di certo so cosa vorrò vedere. La patina glitterata della Fifth Avenue non fa per me e non subisco il fascino delle firme o delle grandi catene. Preferisco luoghi come Harlem, forse un po’ monocolore ma autentica e con un’allegra musica in sottofondo.

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Insomma, New York, non ti ho capita ancora bene e ti sembrerò un po’ frettolosa, ma posso già dire di amarti.


Olanda | Visitare l’Aia con il tram n.1

Non chiamatela L’Aia, se volete farvi capire dagli olandesi. I locali, infatti, la conoscono come Den Haag e nessuno sa spiegare perché fuori dall’Olanda solo questa città cambi nome in base alla lingua.

In ogni modo L’Aia è una destinazione che non avevo mai preso in considerazione, ma che mi ha piacevolmente sorpresa. È vivace, allegra ed elegante. Sarà per il fatto che alcuni membri della famiglia reale abitano qui o per la quantità di negozi raffinati, ma L’Aia ha un carattere unico.

Il modo più semplice e comodo per visitarla è saltare a bordo del tram n. 1, che la attraversa interamente conducendo i passeggeri fino al mare, da un lato, e a Delft, dall’altro. Ricordate che ogni volta che salite e scendete dal tram dovete vidimare il biglietto alla macchinetta automatica a bordo.

Il parlamento

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In pieno centro cittadino il palazzo del Parlamento spicca per maestosità. È circondato da un lago che, all’ora giusta della giornata, lo illumina di caldi raggi dorati. Il complesso architettonico che lo ospita si chiama Binnenhof e risale al XIII secolo quando, sul medesimo terreno, venne fatta costruire la residenza di un conte. Intorno alla corte, con il tempo, si svilupparono numerosi altri edifici come la sala del trono o la torre dove ha sede l’ufficio del Primo Ministro olandese.

Alle spalle del Parlamento, poi, si stagliano fieri alcuni grattacieli moderni sorti nella zona maggiormente colpita durante la Seconda Guerra Mondiale. Antico e moderno si fondono con armonia per guardare insieme al futuro.

I cortili

Un po’ in tutte le città olandesi si possono trovare cortili segreti, che custodiscono storie e misteri. Anche Utrecht ne ha e l’Aia non è da meno.

Al numero 41-61 di Park Street, ad esempio, dietro a una porta verde qualunque si trova la corte Rusthof, uno dei superstiti ospizi di beneficenza. Fu fondata nel 1841 da da Elizabeth Green Prinsterer – van der Hoop che utilizzò i soldi avuti in eredità dal padre per aprire questo luogo aperto solo alle donne dove venivano insegnati loro alcuni mestieri manuali come il cucito. Attualmente, dopo un restauro avvenuto nel 1986, la casa è destinata alle donne single di oltre 55 anni con un reddito basso.

Il cortile è considerato un vero monumento cittadino con il suo giardino fiorito e l’orto, e rappresenta comunque un interessante spaccato della storia e della società.

Scheveningen

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Proseguendo con il tram n. 1 fino al mare si arriva nella località di Scheveningen, che dista solo sei chilometri dal centro cittadino. Una lunga, lunghissima spiaggia invita a camminare respirando salsedine e ascoltando le conchiglie scricchiolare sotto i piedi. È mare del Nord, certo, senza il colori mozzafiato dei Tropici o del Mediterraneo, ma l’energia del mare è sempre la stessa, basta riconoscerla e assorbirla.

Affacciato sul piccolo porto abitato da splendide barche, al 43 di Dr. Lalykade, c’è una tappa obbligata per gli amanti del pesce e dei frutti di mare: Catch by Simonis. Un bel ristorante con terrazza sul mare, in estate ovviamente, dove vale davvero la pena di cenare almeno una volta durante la vacanza all’Aia. Sushi, grigliate, crostacei e zuppe accompagnati da una buona selezione di vini, serviti anche a calice. I prezzi, oltretutto, non sono affatto proibitivi. Ricordate però di prenotare perché è molto frequentato.

Le vie cittadine

L’Aia è facilmente visitabile a piedi, viste le sue dimensioni ridotte, perciò scendete dal tram alla fermata più vicina al centro e camminate. Perdetevi con in naso all’insù per cogliere i dettagli Liberty dei palazzi o per osservare le insegne bizzarre. Sedetevi a uno dei tanti caffè per riscaldarvi, se è inverno, e per godere un po’ della rilassatezza tipica degli olandesi. La domenica mattina, in particolare, li troverete a consumare un sostanzioso brunch in compagnia o a leggere il giornale sorseggiando un tè. Per lo shopping del week end, invece, dovete aspettare il pomeriggio della domenica quando i negozi riaprono.

Se invece siete comodi sul tram n. 1, guardate scorrere il paesaggio fino ad arrivare a Delft, la città della ceramica blu.

Un consiglio

Se posso darvi un consiglio, prenotate una visita della città con Remco Dörr, una guida davvero speciale che saprà raccontarvi e farvi apprezzare ogni aspetto dell’Aia. Lo potete rintracciare a questa email: tours@denhaag.com


Carnevale di Basilea: spettacolo di luce

Puntare la sveglia alle 2.30 del mattino, devo ammetterlo, non mi era mai capitato prima, nemmeno per prendere un aereo. Quest’anno, però, ho dovuto farlo in occasione del Carnevale di Basilea e ne è valsa davvero la pena.

Già la sera che precede l’evento si sentono risuonare nell’aria le note allegre dei pifferi. Il più delle volte non si capisce da dove provengano, ma si capisce subito che preannunciano un grande evento.

La storia del Carnevale di Basilea

Si svolge il primo lunedì successivo al mercoledì delle Ceneri per 72 ore consecutive ed è il carnevale protestante più importante del mondo.

Le sue origini però si perdono nella notte dei tempi, perché il terribile terremoto del 1356 distrusse anche tutti i documenti storici che lo riguardano. La testimonianza più antica del Carnevale di Basilea risale al 1376 ed è dal XVI secolo che si utilizzano elementi del mondo militare, come il passo cadenzato a ritmo di tamburo; in quell’epoca infatti le visite di leva delle reclute delle corporazioni si tenevano in concomitanza con il carnevale.

Protagoniste assolute dello spettacolo sono le clique – i gruppi che sfilano – e il pubblico può solo assistere affascinato, senza il diritto di mascherarsi o partecipare attivamente.

Tutto inizia al quarto rintocco dell’orologio, quando le luci della città si spengono e la sfilata ha inizio. Le maschere illuminate rischiarano il buio con disegni e colori. La maggior parte sono dedicate a fatti di cronaca locale o alla politica, ma si ritrovano anche riferimenti alla vita quotidiana.

Quando arriva l’alba, le clique continuano la propria sfilata ma senza più seguire un unico percorso: si incrociano per le strade, fondendo suoni e colori.

Tradizioni del Carnevale

Chi non vuole dormire prima che inizi lo show, può andare in uno dei numerosi locali che affacciano sulla via principale a bere e ascoltare musica. Una tradizione, però, da cui non ci si può esimere è fare colazione alle cinque del mattino con i piatti tipici dell’evento: quiche di cipolle e zuppa di farina tipica di Basilea. Credete che il vostro stomaco non potrebbe reggere questi sapori? Lo pensavo anche io, ma vi assicuro che nel freddo del mattino saranno in grado di coccolare le vostre papille gustative.

Zuppa di farina alla basilese

zuppa farina
foto web

ingredienti: 4 cucchiai di farina, 1 cipolla tritata finemente, un po’ di vino rosso robusto, 1 litro di brodo vegetale, 2 cucchiai di burro, Groviera grattugiato

Mettere la farina in una padella e tostarla a fuoco lento, facendo attenzione a che non bruci. Quando avrà assunto un bel colore dorato, togliere dal fuoco. Soffriggere la cipolla nel burro, quando sarà diventata trasparente aggiungere la farina tostata. Mescolare bene, aggiungere il brodo, il vino rosso e lasciare cuocere per 30-40 minuti. Servire la zuppa ben calda con il formaggio grattugiato.


Terre del cacao: un mondo dolce e raffinato

Scuro, aromatico e vellutato. Così è il cioccolato che mi piace da sgranocchiare nelle serate d’inverno o da aggiungere grattuggiato sopra un dolce al cucchiaio in estate.
Ma da dove deriva il cioccolato? Le terre del cacao custodiscono segreti che ancora non sono stati scoperti, conosciamo però l’evoluzione genetica della pianta: una storia piuttosto complicata che cercherò di riassumere.

La nascita del cioccolato

Le prime piante di cacao risalgono a epoche geologiche molto lontane nel tempo nelle regioni amazzoniche del Sud America, ma i primi processi produttivi riconducono al 1800 a. C. in America Centrale.
Quello che però non ci si spiega ancora è come le piante di Theobroma cacao – dal greco, theos e broma, cibo degli dei – abbiano viaggiato per l’America. Secondo gli studiosi la pianta, nei secoli, ha subito talmente tante mutazioni genetiche da aver dato origine a una grande varietà che si è espansa durante la fase di propagazione della foresta amazzonica. Dal Theobroma cacao, insomma, è derivata una serie di sottospecie con cui si fa il cioccolato.

Sottospecie del cacao

Cacao Criollo, chiamato anche cacao nobile: Profumato e poco amaro, è molto pregiato e rappresenta il seme dei Maya, che forse furono i primi a coltivare le piante di cacao. Cresce soprattutto in Ecuador e Venezuela. La sua fava cruda è bianca e se ne apprezzano le qualità una volta trasformato in tavoletta. Elegante, dal gusto rotondo con sentori di frutta secca. Il Criollo presenta, inoltre, oltre otto sottotipi diversi che si distinguono per caratteristiche, aromi e raffinatezza.
Cacao Forastero: Forte e amaro, è molto diffuso e produttivo. Viene coltivato in Africa Occidentale e in Brasile ed è noto per contenere tutti i difetti del cacao – acidità, amarezza e astringenza – tuttavia con il Forastero viene prodotto l’80% del cioccolato in commercio.
Cacao Trinitario: È un ibrido tra il Criollo e il Forastero e rappresenta l’8% del raccolto mondiale. È originario di Trinidad, in bassa Amazzonia, dove ha sede la banca dei semi di cacao, istituzione nata per preservare i geoplasmi del cacao.

Come degustare il cioccolato

Non è necessario essere degli esperti per degustare il cioccolato. L’importante è evitare stanze impregnate di odori forti e non mangiare prima. Per iniziare, si rompe un pezzetto della tavoletta, se ne sente l’intensità del profumo e poi, masticandolo, si cerca di distinguerne gli aromi: spezie, erbe, caffè, tabacco, frutta matura e pane tostato sono solo alcuni dei sapori che si possono distinguere in un piccolo e vellutato pezzo di cioccolato.

Domori

domori matcha

L’azienda piemontese Domori ha voluto andare all’anima del cioccolato diventando la prima al mondo a lavorare esclusivamente cacao pregiato, seguendo tutti i processi di produzione. Un’eccellenza che deriva dalla scelta di recuperare il cacao Criollo, dalla ricerca degli ibridi, dalla diffusione dell’arte della degustazione creando un codice e il completamento della filiera del cioccolato.
Il lavoro di Domori è una forma di cultura sostenibile che ha come regola fondamentale la conservazione della biodiversità, combattendo l’estinzione delle varietà pregiate. Perchè senza una materia prima di qualità non si può fare del buon cioccolato.

100% cioccolato

Icona dell’offerta Domori è la pura massa di cacao Criollo senza aggiunta di zucchero alcuno. Forte ma dal grande equilibrio, si accompagna perfettamente con formaggi importanti come lo Stilton o, azzarderei, un gorgonzola piccante.


Turchia | Izmir è una signora gentile

Izmir si sveglia lentamente e si mostra un po’ stropicciata, come se la sera prima avesse fatto un po’ tardi. A differenza di altre città turche, dove già alle prime ore del mattino la vita scorre frenetica tra merci da consegnare e negozi da aprire, qui rimane tutto ovattato fino a quando il sole non scalda deciso.

Sul lungomare si scorgono solo le lunge canne dei pescatori, che si riflettono nelle acque placide, mentre l’aria profuma di simit. Mi sveglio presto ogni mattina di questa primavera che mi accoglie a Izmir, per respirarne ogni attimo, ogni refolo di vento.

Anche se del suo storico passato rimane poco, una passeggiata nell’Agorà è doverosa. Senza lasciarsi distrarre dai palazzi che la circondano, bisogna farsi trasportare dall’immaginazione e pensare alle trattative che si svolgevano nella piazza del mercato voluta in origine da Alessandro Magno e fatta ricostruire da Marco Aurelio dopo il terremoto del 178. Sotto le arcate, vicino alla fonte, è facile rivedere i commercianti e acquirenti aggirarsi sul selciato. Curiose, invece, sono le pietre tombali su cui spicca un turbante o una decorazione con fiori, a indicare la sepoltura di un uomo o di una donna.

izmir bazar

A pochi passi dall’Agorà, si trova il mercato alimentare cittadino, dove si può trovare ogni genere di merce fresca: pesce, frutta, verdura e carne sono esposti come nella più bella delle vetrine. Il Kemeraltı Bazar, invece, risale al XVII secolo e si sviluppa nell’area adiacente alla moschea di Hisar, uno dei simboli ottomani di Izmir.

Al centro del bazar è situato uno scenografico caravanserraglio, ora adibito a bar, dove riposare al fresco durante una pausa dallo shopping. Nel bazar ci si deve lasciar rapire dalle tante merci in vendita: lampade colorate, occhi di Allah contro la malasorte, sapone profumato, acqua di colonia al limone per pulire e profumare le mani, bichieri dalla tipica forma di tulipano e, naturalmente, tappeti. Peccato, però, non avere trovato i lokum alla rosa.

La Turchia non mi delude mai. Anche quando sulle prime si dimostra scontrosa è, come Izmir stessa, una signora gentile con cui chiacchierare amabilmente sorseggiando un çay.

Simit

simit

Ingredienti: 500 g di farina, 300 g di acqua, 7,5 g di lievito fresco di birra, 2 cucchiaini di sale, 140 g di semi di sesamo tostati, 60 g di melassa d’uva, 60 g di acqua

Preparare la pasta versando l’acqua in una ciotola e sciogliendovi il lievito. Aggiungere il sale e 1/3 della farina e mescolare fino a ottenere una pastella. Continuare ad aggiungere la farina a poco a poco, mescolando, per ottenere un impasto compatto. Lasciare lievitare per una notte.
La mattina seguente, lavorare velocemente la pasta una seconda volta e formare 8 palline, infarinarle e lasciarle riposare per 15 minuti. Formare gli anelli di pasta, immergerli nella melassa allungata con l’acqua, scolare l’eccesso di liquido e cospargere su ognuno i semi di sesamo tostati. Disporre i simit su una teglia da forno e cuocere nel forno preriscaldato a 200 °C per circa 30 minuti.

Il profumo dei simit appena sfornati vi trasporterà in un attimo in Turchia, dove vengono acquistati di mattina presto agli angoli delle strade.

Da maggio 2015 Izmir è facilmente raggiungibile da Milano e Roma con SunExpress che opera con due voli settimanali.


Week end a Utrecht tra canali, luci e birra artigianale

L’Olanda mi piace per l’atmosfera rilassata che la pervade, per la sensazione di sicurezza, per l’architettura austera e allegra al tempo stesso, per i fiori, i canali e la genialità che mettono in certi progetti. Dopo aver visitato Amsterdam e Rotterdam, questa è stata la volta di Utrecht e l’Aja, ma iniziamo con la prima delle due.

I canali di Utrecht

Utrecht colpisce subito per l’assenza di traffico e gli edifici medievali, ma più di tutto io sono stata attratta dai canali che, qui, si presentano con un aspetto unico al mondo. Fanno parte, infatti, di un ingegnoso sistema di sviluppo medievale con moli e cantine collegati con magazzini più ampi appartenenti alle case affacciate sui canali. Seicento anni fa tutto questo era palcoscenico di commerci e contrattazioni da parte dei venditori che vivevano poco più in alto della bottega. Gli stessi moli su cui si acquistavano verdure, vino e pesce, adesso in estate vengono allestiti i dehors dei locali alla moda, dove si può cenare o bere qualcosa a pelo d’acqua. Alla fine del XIX secolo, quando si impose la circolazione su strada invece che sull’acqua, cantine e moli vennero abbandonati con il rischio che rimanesse danneggiata alla lunga anche la parte superiore, fatta di strade a case. Con il tempo però, spesso per iniziativa privata, sono stati restaurati e ripristinati così come li vediamo oggi.

I canali si possono osservare passeggiando a piedi, comodamente seduti sul battello che in un’ora riporta al punto di partenza o noleggiandouna canoa e muovendosi in autonomia.

Trajectum Lumen

trajectum lumen

Utrecht è bella da scoprire angolo dopo angolo, di giorno e di sera quando viene impreziosita da un progetto permanente che vuole dare alla città una nuova luce.

Diciotto luoghi del centro cittadino prendono vita grazie al Trajectum Lumen, che li trasforma in opere d’arte intrise di magia. Il Ganzemarkt Tunnel, ad esempio, che un tempo veniva usato per calare le barche in acqua adesso pare condurre in un’altra dimensione. I colori sfumano lentamente dal turchese al fuxia, dal giallo al verde valorizzando la bellezza delle antiche mura.

La Torre del Duomo non è certo esentata da questa meraviglia. Il simbolo della città, che si trova perfettamente al centro dell’abitato, svetta con suoi 212 sui tetti sottostanti mentre le sue arcate si illuminano con giochi di luce magistrali. Per seguire il percorso l’Ente del Turismo ha stampato un’apposita mappa e realizzato una app interattiva che potete scaricare qui.

Birra artigianale

Nel cuore della città, a pochi passi dall’imbarco per il tour dei canali, si trova l’ Oudaen City Castle: un palazzo risalente al 1296 che attualmente ospita un ristorante, un teatro e un birrificio.

Utrecht nel medioevo contava circa trenta birrifici, tutti situati lungo il canale vecchio che al tempo era collegato al mare del Nord tramite un affluente del Reno.
Intorno al 1930, però, scomparvero tutti e solo nel 1990, questo birrificio decise di portare avanti la tradizione lavorando nei caratteristici sotterranei del Stadskasteel Oudaen. Nonostante sia un produttore di piccole dimensioni, produce circa 75000 all’anno, che però possono essere gustati solamente nel loro locale.
Ogni stagione ha la propria birra peculiare, mentre la bianca non filtrata è quella che li ha resi famosi e attira molti appassionati. Il profumo speziato e il sapore delicato, l’hanno fatta entrare nella lista delle mie preferite. Se intendete pranzare qui, vi consiglio i sandwich: pane integrale farcito con ogni delizia locale.

Un consiglio: Utrecht è da scoprire passeggiando con calma e sedendosi in uno dei caffè a osservare la vita che passa. Leggete la sua storia prima e poi lasciatevi conquistare dal suo charme.


Turchia | Giresun, la città con le ciliegie nel nome

La città di Giresun, nel nord-est della Turchia, era conosciuta dagli antichi greci come Cerasus. L’inglese ‘cherry’, il francese ‘cerise’, lo spagnolo ‘cereza’ e l’italiano ‘ciliegia’, sono termini che derivano tutti dal greco κερασός che significa ‘albero delle ciliege’.

Il frutto della ciliegia fu importato per la prima volta in Europa proprio da questa città, in epoca romana. Ancora oggi nella zona ci sono grandi coltivazioni di ciliegie affiancate dagli altrettanto famosi noccioleti.

Di fronte al promontorio su cui è situata Giresun, a circa 1.2 chilometri dalla costa, giace l’unica isola del Mar Nero con una grandezza degna di nota, Amazon Adası. Narra una leggenda che fosse sacra alle amazzoni e che vi avessero costruito un tempio ad Ares, dio della guerra.

Una tradizione risalente a quattro millenni fa, vuole che ogni 20 maggio si celebri sull’isola il ‘festival dell’abbondanza e della fertilità‘.

Le donne che non hanno ancora avuto figli passano sotto una struttura rituale a cui segue la tradizione di fare il giro dell’isola in barca ed il lancio in mare di sassolini, simbolo di sfortuna e problemi. Una grande festa nel villaggio, poi, conclude la manifestazione.

La ciliegia è uno dei miei frutti preferiti. Ne amo il colore caldo, il profumo dolce ed il sapore che mi ricorda l’estate.

Con questo frutto realizzo dei dolcetti semplici ma impreziositi da un pizzico di pepe rosa.*

ingredienti: ciliege 500g, zucchero di canna 30g, latte intero 3dl, uova 3, zucchero 100g, burro 60g, farina 50g, farina di noci 50g, pepe rosa appena macinato a piacere

Scaldare il forno a 150°. Lavare le snocciolare le ciliegie. Imburrare una teglia da forno e cospargerla di zucchero di canna. Portare il latte a ebollizione e sbattere le uova con lo zucchero fino a quando il composto diventa chiaro e spumoso. Aggiungere il burro fuso, la farina e la farina di noci. Aggiungere il latte caldo, e mescolare bene. Sistemare le ciliege nella teglia, e versarci delicatamente sopra il composto di latte e uova. Far cuocere per 45 minuti. Servire tiepido o freddo.

* il pepe rosa è il frutto di un albero sempreverde, lo Schinus molle, originario degli altipiani del Perù, Bolivia e Cile. Le bacche hanno un delicato sapore aromatico e resinoso ma, se consumate in eccesso, possono risultare tossiche.


Storie, Cucina e Sapori dall'India: Sari, Samosa e Sutra

Sari, Samosa e Sutra appartiene a un genere tutto suo. Parla di cibo, ma non è solo un libro di ricette. Contiene racconti, curiosità, aneddoti e luoghi da vedere, ma non è una guida o un romanzo. Un libro che vorrei fosse d'ispirazione: mi piacerebbe che qualcuno, dopo averlo letto, fosse spinto dal desiderio di trascorrere in India un po’ di tempo. Vorrei che i lettori venissero travolti dai colori (anche delle illustrazioni), che potessero immaginare i profumi delle spezie e decidessero di provare a realizzare un piatto, per portare un’infinitesima parte di quella cultura millenaria a casa propria.

La prefazione è di una donna per me molto speciale, a cui sono grata per aver compreso subito lo spirito delle mie parole. Per le illustrazioni, infine, ringrazio Fabiola, che fin dal primo giorno di Travel to Taste è riuscita a renderlo un blog speciale.

Dove trovare Sari, Samosa e Sutra: il libro è acquistabile su Amazon e altri Store in versione ebook o print on demand

Per entrare subito nel giusto Indian Mood, ascolta la playlist che ho creato per l'occasione.

I libri vanno letti con la stessa cura e con la stessa riservatezza con cui sono stati scritti.

Paul Auster, Trilogia di New York, 1987

NOTA: Il libro uscì già qualche anno fa con un altro editore. L'edizione attuale differisce nella copertina, in qualche ricetta e nell'aggiornamento dei racconti.


India | Mandawa e le haveli delle meraviglie

Il sole è sulla via del tramonto e l’aria si fa meno torrida. La luce da cui è illuminata Mandawa le dà un aspetto quasi surreale, la polvere delle strade in terra battuta si mescola all’umidità nell’aria e tutto si tinge di un antico color seppia.

Il buio non tarderà ad arrivare ma questo è forse il momento migliore per visitare le haveli, antiche abitazioni che derivano il nome dal persiano e che significa ‘luogo chiuso‘.

Per struttura ricordano i riad marocchini, articolandosi intorno ad un cortile, e sono di una bellezza straordinaria. C’è da perdere il senso del tempo mentre si ammirano i disegni che decorano i muri, ognuno unico per bellezza ed originalità. Immagini di animali, dei, storie della vita di Krishna e momenti della colonizzazione inglese che stimolano la fantasia del visitatore.

mandawa

In queste case, appartenenti ai commercianti, si stringevano accordi e si vendevano merci provenienti da lontano. Incontri che le donne potevano osservare dall’alto, guardando attraverso le finestre velate, in modo che nessuno potesse vederle.

Mandawa, per essere un piccolo paese, ha un’alta concentrazione di haveli tutto sommato ben conservati, se si considera che essendo proprietà private il Governo non può intervenire sul loro mantenimento. Il fascino del posto è però accresciuto dai suoi vicoli polverosi, dalle numerose botteghe artigiane, dagli eleganti pavoni che passeggiano per le strade e dall’onnipresente profumo di chapati, il sottile pane senza lievito che accompagna quasi ogni pietanza. L’aroma è avvolgente e piacevole, proviene da ogni casa o bottega e mi dà una rassicurante sensazione di calore al cuore.

Il Castle Mandawa, l’hotel che abbiamo scelto, è un’isola di pace con un arredamento piacevolmente coloniale che mi fa sentire parte della storia narrata nel libro ‘Passaggio in India‘, che lessi tanto tempo fa.

Dopo il tramonto Mandawa ritrova la tranquillità e, mangiando un piatto di paneer* agli spinaci sul tetto del Monica Restaurant, solo i gufi rompono il silenzio di una notte illuminata da innumerevoli stelle.

* il paneer è il tipico formaggio indiano prodotto da latte di mucca ed utilizzato in molti piatti vegetariani. Per la sua preparazione sono necessari solamente latte e succo di limone ma non crediate che realizzarlo sia così semplice. Credo, perciò, che questo video sia più esplicativo di qualsiasi narrazione.