India | Mandawa e le haveli delle meraviglie

Il sole è sulla via del tramonto e l’aria si fa meno torrida. La luce da cui è illuminata Mandawa le dà un aspetto quasi surreale, la polvere delle strade in terra battuta si mescola all’umidità nell’aria e tutto si tinge di un antico color seppia.

Il buio non tarderà ad arrivare ma questo è forse il momento migliore per visitare le haveli, antiche abitazioni che derivano il nome dal persiano e che significa ‘luogo chiuso‘.

Per struttura ricordano i riad marocchini, articolandosi intorno ad un cortile, e sono di una bellezza straordinaria. C’è da perdere il senso del tempo mentre si ammirano i disegni che decorano i muri, ognuno unico per bellezza ed originalità. Immagini di animali, dei, storie della vita di Krishna e momenti della colonizzazione inglese che stimolano la fantasia del visitatore.

mandawa

In queste case, appartenenti ai commercianti, si stringevano accordi e si vendevano merci provenienti da lontano. Incontri che le donne potevano osservare dall’alto, guardando attraverso le finestre velate, in modo che nessuno potesse vederle.

Mandawa, per essere un piccolo paese, ha un’alta concentrazione di haveli tutto sommato ben conservati, se si considera che essendo proprietà private il Governo non può intervenire sul loro mantenimento. Il fascino del posto è però accresciuto dai suoi vicoli polverosi, dalle numerose botteghe artigiane, dagli eleganti pavoni che passeggiano per le strade e dall’onnipresente profumo di chapati, il sottile pane senza lievito che accompagna quasi ogni pietanza. L’aroma è avvolgente e piacevole, proviene da ogni casa o bottega e mi dà una rassicurante sensazione di calore al cuore.

Il Castle Mandawa, l’hotel che abbiamo scelto, è un’isola di pace con un arredamento piacevolmente coloniale che mi fa sentire parte della storia narrata nel libro ‘Passaggio in India‘, che lessi tanto tempo fa.

Dopo il tramonto Mandawa ritrova la tranquillità e, mangiando un piatto di paneer* agli spinaci sul tetto del Monica Restaurant, solo i gufi rompono il silenzio di una notte illuminata da innumerevoli stelle.

* il paneer è il tipico formaggio indiano prodotto da latte di mucca ed utilizzato in molti piatti vegetariani. Per la sua preparazione sono necessari solamente latte e succo di limone ma non crediate che realizzarlo sia così semplice. Credo, perciò, che questo video sia più esplicativo di qualsiasi narrazione.


Bobby Chinn ambasciatore della cucina vietnamita

Ho saputo dell’esistenza di Bobby Chinn parecchi anni fa, quando in Italia veniva trasmessa una serie in cui raccontava il cibo da strada asiatico in maniera semplice e coinvolgente. Credo che sia anche grazie a lui se, con il tempo, mi sono appassionata ogni giorno di più alla cucina dell’Asia e del mondo. Ho sempre sperato di poter, un giorno, cenare nel suo ristorante in Vietnam e, anche se quel desiderio non si è ancora realizzato, ne ho raggiunto un altro: intervistare Bobby Chinn nell’anno in cui è stato nominato ambasciatore del turismo vietnamita in Europa. Per me un vero orgoglio, in attesa di assaggiare i suoi piatti ad Hanoi o a Londra.

Bobby, sei nato in Nuova Zelanda e cresciuto in Inghilterra, Stati Uniti ed Egitto: quale aspetto di questi Paesi utilizzi nella tua cucina e cosa no. Perchè? Inoltre, quando hai scoperto la tua passione per il cibo?

Sono un vero cocktail etnico. Non c’erano allievi metà egiziani, metà cinesi nati in Nuova Zelanda in una delle tante scuole che ho frequentato attraverso i tre continenti. Quando sei così nessuno si aspetta davvero che tu sia un conformista e segua un percorso tradizionale. Quindi io non saprei dire se a influenzare la mia cucina siano stati l’educazione americana, i natali neozelandesi, gli egiziani o i cinesi. Penso di essere molto curioso e predisposto ai viaggi, durante i quali ho imparato a fondere le diverse culture in maniera molto sottile. Non vorrei mai provare a integrare idee o ingredienti in maniera completamente difforme a come lo farebbero gli appartenenti a una certa cultura.

Perché ti sei trasferito in Vietnam e che cosa ti piace in particolare del cibo locale?

Mio padre è un iconoclasta ed è sempre stato più avanti degli altri. Mi disse che il Vietnam era in forte via di sviluppo e guardare mio padre – cinese – ottenere ottimi risultati in campo lavorativo è stato come guardare un topo entrare in un labirinto inebriato dal profumo del formaggio! Questo è successo più di 20 anni fa, quando il turismo era inesistente, di uomini d’affari stranieri se ne vedevano pochi e la maggioranza del popolo vietnamita girava in bicicletta. Si poteva vedere la Via Lattea dal centro della città alle 10 di sera per la mancanza di inquinamento luminoso. Ho pensato che se l’economia e il turismo in Vietnam erano in crescita, sarebbe accaduta la stessa cosa per la popolarità del cibo vietnamita. Grazie al suo stile unico sarebbe potuto diventare una delle grandi cucine del mondo per salubrità, sostenibilità, raffinatezza e pura bontà. Il Paese è stato in lotta per la sua indipendenza per più di mille anni e dopo la guerra americana, la maggior parte dei Paesi occidentali ha avuto l’embargo nei suoi confronti. Così, per oltre 30 anni  il Vietnam è rimasto isolato economicamente e culturalmente e gran parte del mondo non ne conosceva il cibo, la cultura, la gente e la sua storia. Quando sono arrivato, pensavo di studiare il cibo vietnamita per un anno o due e tornare a San Francisco per aprire un ristorante franco-vietnamita, ma niente si è avverato secondo i piani.

Dopo il periodo di studio non mi sentivo veramente qualificato per assumere la posizione di chef a casa, così ho deciso di provare qui: quale posto migliore per fallire, visto che nessuno mi conosceva! C’era una parte di me che pensava di poter fare la differenza nella vita delle persone in Vietnam. Non ho mai pensato che avrei ottenuto il successo che ho avuto, ma in sincerità, ho seriamente pensato che avrei potuto farlo, con una sensazione ancora più profonda di riuscire a fare la differenza. Quella vietnamita è una cucina moderna che è stata ottimizzata e perfezionata nel corso di più di 1000 anni. Io amo la semplicità delle preparazioni riuscendo, però, a ottenere risultati sofisticati e complessi. Quello che mi impressiona di più è che è ridicolmente a basso costo, è diversamente sostenibile ed è incredibilmente deliziosa.

Cucini ancora nel tuo ristorante o consideri più interessante la tua carriera come scrittore e presentatore? (Ho apprezzato molto la serie tv andata in onda in Italia alcuni anni fa e mi piacerebbe vedere WorldCafe … mai arrivato sui monitor italiani)

Ti ringrazio molto! Sono molto lusingato dalle tue parole gentili tanto quanto mi sento umiliato da loro…

Francamente penso che potrei soffrire di ADD (Sindrome da deficit di attenzione) perchè mi piace mettere sempre molta carne al fuoco, di conseguenza sono sempre molto occupato, ma amando molto tutto ciò che faccio non riesco a considerarlo lavoro. Quando apro un ristorante sto sempre in cucina perché mi piace impartire il mio stile e i miei sistemi, ma una volta che lo staff è adeguatamente addestrato, lo lascio lavorare in autonomia. Quindi passo del tempo in cucina, ma non tanto quanto facevo un tempo. Trovo che sia più importante permettere alle persone di assumersi le proprie responsabilità e, sinceramente, non mi vedo come uno chef, del cui ruolo ho molto rispetto. Attualmente sto lavorando a un nuovo libro, ma come puoi immaginare ci vuole un sacco di tempo e richiede davvero molta disciplina.

Per quanto riguarda la TV, stiamo aggiungendo altre quattro puntate della serie WorldCafè e ho appena finito di girare delle puntate pilota per quanto riguarda l’alimentazione detox. Sto anche lavorando su un nuovo progetto, ma procede molto lentamente! Se ciò non bastasse, sto cercando di ingrandire i ristoranti di Londra e di Hanoi, che opera con una ONG chiamata Blue Dragon per aiutare i bambini vittime del traffico di esseri umani. Abbiamo creato un programma di formazione modulare che noi chiamiamo “apprendimento sperimentale”, che mi occupa del tempo.

Infine, sono ambasciatore del pesce sostenibile e dell’iniziativa Triangolo di Corallo per il WWF in Asia, perché per me è importante promuovere l’utilizzo di pesce sostenibile.

Qual è il tuo piatto preferito in assoluto?

Purtroppo non sono mai stato molto bravo a scegliere le cose preferite: il colore, un animale o una qualsiasi altra cosa! Tutto dipende dal mio stato d’animo, che è in continua evoluzione. Sono in costante mutazione e le mie risposte potrebbero cambiare nel corso degli anni, quindi dovessero essere in contrasto tra loro è solo perché sono sincero. Quindi sarebbe ingiusto e inesatto per me dirtene uno!

Tuttavia, se mi sento stanco, malato o se ho bisogno di qualcosa per reidratare il io corpo non c’è niente di più confortante di una ciotola calda di Pho. Amo anche una ciotola di Bun Rieu. Sono vorace quando si tratta di mangiare il Banh Xeo: fresco, leggero e sano, pur soddisfando il mio desiderio costante di qualcosa di un po’ croccante allo stesso tempo. Poi c’è sempre qualcosa di molto magico nel Banh Cuon preparato da Chi An su Hang Bo Street ad Hanoi. E questo è solo per quel che riguarda il cibo vietnamita! Poi ci sono i piatti del Medio Oriente, i cinesi, cucina indiana, italiana e messicana. Ma la lista potrebbe continuare all’infinito.

E qual è il tuo ingrediente preferito che non manca mai nei tuoi piatti?

Io sono una creatura molto flessibile e adattabile, quindi non sono abituato ad utilizzare sempre un stesso ingrediente.

Che dire sulla recente nomina come ambasciatore del turismo in Vietnam per il mercato europeo? Come pensate di “promuovere” la tua terra adottiva?

Sto ancora cercando la mia posizione in merito e ho parlato con molti leader nel settore dell’ospitalità e del turismo, nonché le imprese statali su come hanno pensato che avrei potuto aiutare la causa al meglio. I miei progetti immediati, comunque, prevedono di promuovere il Vietnam attraverso la sua cucina. Con il mio ristorante a Londra ho una base e posso visitare altri paesi europei per contribuire a promuovere il Paese attraverso i suoi sapori. “Quello che conta sono i risultati”, come si dice, perciò il modo migliore per raggiungerli è cucinare dimostrando la semplicità e la complessità di una tradizione gastronomica antica.

Ora non mi resta che provare a preparare i piatti che Bobby ha nominato e sperare di provare presto la sua cucina in evoluzione!


India | Jaipur a colori

Pensavo di aver già visto tutto il caos possibile ma Jaipur supera ogni immaginazione. Il giorno del mio arrivo coincide con il compleanno di Krishna e la gente invade le strade in massa, ho l’impressione però che negli altri giorni non sia tanto differente.

La chiamano la città rosa perché agli inizi del 1800 il maharajah fece dipingere i muri degli edifici di colore rosa per accogliere un’ambasciata inglese. Si dice che da allora ogni tre anni le mura vengano ridipinte ma, nella realtà, il colore è praticamente scomparso.

Il centro della città vecchia è un grande bazar lungo le cui vie è bello vagare alla ricerca di un prezioso sari, di un gioiello raffinato, di spezie ed aromatiche miscele di tè.

Il profumo che pervade l’aria è quello della gialla curcuma con cui vengono insaporiti i piatti ed il paan, le foglie di betel condite che vengono comunemente masticate come digestivo.

C’è una grande confusione e il fastidio viene amplificato dal caldo e dalla musica che viene incessantemente diffusa tramite altoparlanti sistemati in tutto il centro cittadino.

halwa mahal

Nonostante ciò l’Hawa Mahal, il Palazzo dei Venti, non può non incantare. Costruito in arenaria color mattone assomiglia ad un alveare. Le sue mille finestre venivano utilizzate dalle donne di corte per osservare la vita quotidiana che si svolgeva lungo le vie sottostanti senza essere scorte da nessuno.

Il City Palace, adiacente al tempio di Krishna, è una zona protetta in cui trovare un po’ di pace. Un palazzo straordinario in arenaria rossa nel cui cortile spiccano le due gigantesche urne in argento che il maharajah Madho Singh II utilizzò ai primi del 1900 per trasportare l’acqua del Gange per fare il bagno.

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Poco distante dalla città è situato lo scenografico Forte di Amber, dove è bene giungere all’alba per ammirarlo illuminato da luce dorata.

La salita è ripida ed il modo più divertente, ma non il più confortevole, per percorrerla è a dorso di elefante. Qui gli eserciti tornavano per mostrare al popolo il bottino di guerra mentre le donne osservavano attraverso le finestre velate.

È un forte militare ma ha le fattezze di un sontuoso palazzo finemente decorato. Tutto intorno, i chilometri di mura che seguono sinuose le morbide colline assomigliano al profilo di un drago.

Per ritemprarsi a fine giornata niente di meglio del thali, un pasto completo servito in un unico piatto di acciaio. Prevede porzioni di lenticchie e verdura, sia brodose che asciutte, pane e riso in quantità, chutney e yogurt. Tra i dolci, il mio preferito è il kulfi, una sorta di gelato, allo zafferano e frutta secca. La spezia risulta aromatica e persistente ma, al tempo stesso, delicata mentre la frutta dà un goloso tocco croccante.


Il cielo di maiolica blu: la mia Turchia

Un giorno di qualche anno fa l’allora mio direttore, e ora socio, mi disse “Devi scrivere un libro, raccontando qualcosa che ti stia davvero a cuore.” Sulle prime rimasi un po’ interdetta e davvero non riuscivo a capire cosa intendesse.

Lasciai quella frase navigare a lungo nel mare di idee della mia mente fino al giorno in cui, all’imporvviso, pensai al fatto che tra me e la Turchia c’era una storia importante e che tutto iniziò con un tappeto. Allora cominciai a scrivere del nostro primo incontro e di come non ci siamo più lasciate. I ricordi e le emozioni mi hanno accompagnata nel racconto, cercando però di rimanere sempre oggettiva. Ho descritto tradizioni, luoghi e ricette – il cibo non posso proprio evitarlo, nei mei libri – con l’intento di trasmettere al lettore un po’ di affetto e curiosità per questo Paese considerato troppo lontano da noi. Il libro non è nato come spot pubblicitario sulla Turchia e nemmeno come guida turistica, ma come risposta a chi mi chiede ogni volta “Ma torni di nuovo in Turchia? Ci sei già stata tante volte!” Il Paese è troppo grande per essere visitato in un solo viaggio e, soprattutto, non si può dire di conoscerlo avendo visto solo Istanbul in un week end. La Turchia merita attenzione e rispetto. Se vi avvicinerete a lei una volta, sono certa che ne rimarrete conquistati. E se non succederà, almeno ci avrete provato.

 

Il lungo racconto, di circa 250 pagine, è passato sotto gli occhi di molte persone prima di trovare un editore, ma ora ce l’ha ed è finalmente uscito e si intitola “Il cielo di maiolica blu – un’insolita storia d’amore con la Turchia“.

È disponibile in versione ebook (cliccando sul link trovate tutti store) e print on demand. Quale versione scegliere? L’ebook è arricchito di link, approfondimenti e 72 foto a colori. La versione stampata ha la bellezza della carta e 72 foto in bianco e nero. Quale preferite?

Non vi resta che sedervi e preparare un çay. Naturalmente, trovate i segreti per prepararlo nel libro!


Corsica a settembre: 5 posti da vedere e 1 ricetta

Trascorsi dieci on the road in Corsica, cerco di riordinare le idee. Un itinerario lungo e intenso, che ho cercato di vivere attimo per attimo, imprimendo negli occhi anche quei luoghi che, per mancanza di tempo, ho potuto vivere poco. Il progetto #corsicavivilaadesso mi è subito piaciuto per la libertà che ha lasciato nello scoprire il territorio, che conoscevo davvero poco e niente. Della Corsica mi hanno sorpreso molti aspetti:

  • La natura selvaggia, che riescono a mantenere tale.
  • L’orgoglio per il proprio territorio, che si rispecchia anche a tavola dove si trovano solo prodotti locali.
  • Il carattere forte e un po’ chiuso degli abitanti, che però si dimostrano sempre gioviali e disponibili al dialogo.
  • Un entroterra sorprendentemente bello con paesini arroccati su alti speroni, frutto delle tante invasioni subite.
  • Il mare, che sembra un’acquamarina finemente lavorata dal più bravo dei gioiellieri.
  • Il silenzio, che a settembre regna sovrano.

Tra tutti i luoghi che ho visto – e di cui vorrei approfondire la conoscenza – ve ne segnalo 5 da vivere soprattutto a settembre, quando il turismo si fa meno intenso e invasivo.

Centuri

Villaggio di epoca romana sul lato ovest di Cap Corse. Si raggiunge percorrendo una strada ripida e stretta, che si apre su un paesaggio unico. Il mare turchese fa da prezioso tappeto di fronte a questo borgo elegante, dove viene portata avanti la tradizione della pesca all’aragosta. Le case colorate si stringono intorno alla baia e passeggiare per i vicoli alla ricerca delle botteghe artigiane è tanto rilassante quanto divertente.

Porto

porto

Stretto tra le Calanques di Piana, il golfo di Porto è, meritatamente, Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Culla di meraviglie naturali, il borgo si sviluppa intorno a una delle tante torri genovesi (150 in tutta la Corsica) a ridosso del golfo che, osservato dalla giusta angolazione, sembra un lago, tanto è chiuso. La vista sulle scogliere che si osserva dalla strada che da Saint Florent porta qui, è da togliere il fiato.

Corte

Il cuore della Corsica, così viene spesso chiamata Corte. È stata l’antica capitale dell’isola ai tempi del patriota Pascal Paoli ed è sovrastata da una mirabile cittadella fortificata. Da lassù si può osservare la cittadina, con le sue belle case e la vivacità tipica delle città universitarie. Non mancano i locali dove prendere un aperitivo all’aperto con sottofondo musicale.

Percorso di Casinca

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Tre paesi medievali a poca distanza tra loro, che si ergono sulle colline vicino a San Nicolao, nell’entroterra della costa est. Castellare di Casinca, Loreto di Casinca e Penta di Casinca sono stati edificati su uno sperone roccioso, espandendosi poi verso valle con case in pietra molto particolari. I tetti sono ricoperti di tegole in pietra azzurra, che sembrano mimetizzarsi con il cielo. Sui muri di piazze e strade sono state appese fotografie d’epoca, in modo da osservare come erano un tempo.

Cap Corse

È forse la zona più selvaggia della Corsica. Un’isola nell’isola lunga 40 chilometri disseminata da torri, villaggi di pescatori e luoghi senza tempo. La sua bellezza sta soprattutto nell’entroterra, dove si rispecchia meglio la lunga e travagliata storia della Corsica. Solo qui si trovano 60 delle 150 torri genovesi dell’isola.

Infine, tra tutti i piatti deliziosi che ho assaggiato – salumi, quiche, vini, birre, pesce e viennoiseries – ne ho trovato uno particolarmente goloso: i bignè al formaggio.

Vi riporto la ricetta originale:

ingredienti: 1 kg di farina, 1 litro + 1 bicchiere di latte, 3 sacchetti di lievito in polvere, sale, pepe, formaggio fresco di capra, olio di girasole per friggere
Amalgamare la farina, il latte, il lievito, il sale e il pepe fino a formare una pastella densa e lasciare riposare qualche minuto. Nel frattempo, tagliate il formaggio a cubetti. Con due cucchiai formare un bignet di pastella al cui centro si metterà un pezzo di formaggio. Friggere in olio profondo bollente. Servire i bignè molto caldi, accompagnati da insalata.


Corea | Seoul: mille mondi, una città

Se la si potesse osservare in volo, Seoul, sarebbe possibile vedere i mille mondi che la compongono. Una megalopoli da 24 milioni di abitanti non la si può visitare di fretta, bisogna viverla con tranquillità anche perché il traffico, sorprendentemente, non è opprimente.

 

Guardandola dall’alto, si potrebbe capire che non è fatta di soli grattacieli, ma anche di palazzine, di hanok e palazzi imperiali. Si potrebbe scegliere qualche mercato in cui perdersi e assaggiare un po’ di street food. Ci sono quelli tecnologici, quelli dedicati agli acquisti quotidiani, ai fiori e, il mio preferito, il mercato di medicina tradizionale cinese. Le bancarelle, sistemate molto vicine tra loro, espongono prodotti vegetali e animali spesso ignoti.

 

A cosa potranno mai servire quei legni spinosi che tanto assomigliano ai gambi delle rose? Se solo conoscessi il coreano, o se loro parlassero inglese, entrerei in una delle tante farmacie per farmi curare le allergie. Tra le cose sconosciute, però, ce ne sono anche di note: il ginseng – dalle radici tanto ritorte da assomigliare a volte a corpi umani – i fiori di calendula, i boccioli di rosa e le carnose foglie di aloe – miracolose in caso di bruciature.

cannella

 

A piedi si può raggiungere il bel quartiere di Insa Dong, popolato da gallerie d’arte, donne eleganti e artisti che assomigliano a samurai. Seoul è così: a ogni giro d’angolo si presenta un nuovo mondo. Riprendendo il volo per attraversare il grande fiume Han, navigabile ma effettivamente poco vissuto, e raggiungere l’incredibile quartiere di Gangnam, sì quello del noto video tormentone. Al di là dei balli sfrenati, è una zona composta da alti palazzi di specchi, che riflettono il cielo e ospitano importanti uffici finanziari, attivi giorno e notte. Negozi moderni che si alternano a ristoranti di cucina tradizionale riempiono le strade, gli occhi e le orecchie, per la musica sempre ad alto volume.

rose

 

Per un po’ di tranquillità basta cambiare ed entrare nel mondo buddista del tempio Bongeunsa, protetto dalle colline ma sovrastato dal World Trade Center e dai grattacieli limitrofi. Qui, nella struttura centrale, un canto si alza lieve e costante. I sutra riempiono le orecchie attutendo ogni altro suono e distendendo ogni parte del mio corpo. Dagli abiti e dalle candele accese davanti a una fotografia mi rendo conto che si tratta di un funerale, ma i volti sereni dei partecipanti rendono comunque la cerimonia un momento di quiete collettiva.

 

Il volo sui mondi di Seoul non può che terminare al Top Cloud, un raffinato ristorante al 33° piano della Jongono Tower. Con 60 euro di menù offre una sontuosa cena e la città ai propri piedi.


Corea | Storie di hanok, kimchi e divinazione

Restava ore a guardare il fiume. Era un’abitudine che aveva già da bambina perché la casa era, come da tradizione, rivolta verso un corso d’acqua, mentre il retro guardava le montagne. Gli hanok erano costruiti così. Il cortile interno era spazioso e, nelle calde notti estive, quando il vento lo spazzava con energia lei si sdraiava sul pavimento di legno del portico e lasciava che le accarezzasse la pelle. La struttura dell’hanok riflette la visione che avevano i coreani nell’antichità della natura e dell’Universo. L’idea del cielo tondo e la terra quadrata, quindi, si rispecchia nell’architettura così come i tre (numero fortunato e ricorrente) elementi da cui era composto per loro l’Universo: cielo, terra e genere umano.

 

Se però avessero chiesto alla ragazza di spiegare in maniera precisa come fosse strutturato un hanok non avrebbe saputo rispondere. Non le è mai interessato conoscere l’antico, quanto innovativo, sistema di riscaldamento sotto al pavimento alimentato a legna o il concetto secondo cui l’impatto ambientale per la sua costruzione debba essere minimo.

kimchi

 

Lei ne accarezzava le crepe del legno dovute al tempo, ne ascoltava il suono delle campane a vento attaccate alle travi, ne gurdava le lanterne illuminate nelle notti nere e gustava il sapore acre del kimchi lasciato fermentare in cortile nelle giare che, rischiarate dalla luce della luna, creavano ombre misteriose. Di tutto ciò avrebbe potuto raccontare a lungo, proprio come fece in quella mattina lontana nel tempo con un maestro dei ventagli incontrato per caso. La ragazza aveva gli occhi di giada e il suo nome era Nau.

 

Aveva un nome insolito per una coreana: era infatti inventato. I suoi genitori si erano voluti allontanare dall’abitudine di chiedere a un indovino il nome più propizio per il proprio figlio. La pratica divinatoria più comune ancora oggi si chiama Saju. In base alla data di nascita e allo Saju dei genitori l’indovino cerca di garantire l’armonia familiare e il futuro successo del neonato, bilanciando gli elementi con il giusto nome.

Per Nau, invece, vennero scelti il mistero e la libertà di essere.


Corea | Il maestro dei ventagli

Il signor Cho si sventola lentamente nel caldo cittadino, tenendo il ventaglio con le lunghe dita affusolate. Il flabello in questione è un oggetto appartenuto alla sua famiglia ed è di un’eleganza straordinaria. Sulla carta di gelso, ormai un po’ ingiallita, di cui è fatto sono rappresentate sottili foglie di bambù, pochi misteriosi ideogrammi coreani e, nell’angolo in alto a destra, un piccola farfalla gialla.

 

I ventagli coreani si distinguono per la bellezza che riescono a mostrare nella semplicità delle forme. L’abitudine di utilizzare questo oggetto è stata tramandata fin dai tempi dell’Impero, tempo in cui un uomo si considerava pronto a uscire solo quando aveva in mano un ventaglio. Non lo si usa solamente in estate per cercare sollievo dal caldo umido, ma anche in inverno per proteggersi dal vento freddo o dalla polvere. Ognuno porta decorazioni di buon auspicio, proprio come la farfalla e il bambù.

 

Seduto su quella panchina, il signor Cho sembra uscito da una cartolina d’altri tempi. All’ombra del grande albero di ginko guarda distrattamente uno degli edifici del Palazzo Imperiale, quello dal tetto con le lucide tegole blu. Anche se per tradizione viene utilizzato solo per gli uffici amministrativi, si distingue per bellezza e raffinatezza. I disegni di cui sono adorni i muri rappresentano forme e soggetti incantevoli, mentre i colori vivaci lo lasciano ogni volta come ipnotizzato.

 

Viene in questo luogo ogni volta che è in cerca di nuova energia e rinnovata ispirazione per creare i ventagli per cui è famoso. Ne produce alcuni per le mostre, fatti e dipinti a mano, e molti altri a macchina per il commercio, ma i suoi preferiti sono quelli piatti e quasi tondi. Lavorandoli gli sembra di accarezzare la superficie della Luna. Arcana e romantica, gli ricorda una storia che gli ha raccontato una ragazza dagli occhi di giada incontrata qualche tempo fa.