Macao, caos e biscotti

Macao era una destinazione rimasta troppo a lungo nel cassetto dei desideri. Uno di quei posti che immaginavo di vivere a fondo e con la calma che contraddistingue le mie esplorazioni. Già prima di partire, però, troppe persone mi avevano detto di non dedicarle più di una giornata perché non ne valeva la pena. Così ho fatto e l'ho visitata in una giornata, rientrando la sera a Hong Kong e ringraziando con il pensiero chi mi aveva avvertita.

Macao si affaccia sulla parte meridionale del Mar Cinese e si trova sul lato occidentale del Fiume delle Perle. L'arrivo via mare - circa due ore di barca veloce da Hong Kong - è tanto scenografico quanto complicato. Tra i tanti controlli dell'immigrazione e riuscire a capire come raggiungere il centro, ci va un po' di tempo per decidere dove dirigersi.

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Se, come me, non si è interessati al gioco d'azzardo e alle mille gioiellerie di cui è disseminata la città, l'unica zona godibile è la parte interna dalle origini coloniali. Piazza del Senado è il cuore di tutto: ristoranti, caffetterie e negozi sono dislocati in questa zona pedonale. Da qui non resta che vagare, curiosando nelle botteghe e assaggiando le specialità locali.

Macao è stato il primo e l’ultimo paese in Asia a essere colonizzato dagli europei. I portoghesi, infatti, vi si stabilirono nel XVI secolo e lo abbandonarono nel 1999.
Oggi è una regione amministrativa speciale della Repubblica Popolare Cinese, governata secondo il principio di “un paese, due sistemi”. Nonostante non sia più una colonia, la lingua ufficile è ancora il portoghese, insieme al cantonese, e le influenze europee sono evidenti nelle piastrelle azzurre che indicano i nomi delle strade, nella pavimentazione stradale e nei rigogliosi giardini.

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Si dice che Macao sia un Paese di lunga vita: qui l'età media è di 84,4 anni e, nella classifica mondiale, occupa il secondo posto dopo Monaco. Pare che questo sia dovuto alla rapida crescita economica, anche se una grossa fetta delle entrate proviene dal gioco d'azzardo (Macao ha superato Las Vegas in quanto a fatturato).

Per nulla rapita dalle imponenti e pacchiane architetture dei casinò, ho trascorso il tempo a osservare dettagli, rifugiandomi a volte nella tranquillità dei templi. Per le strade c'era troppo caos creato da persone di fretta, senza interesse vero per ciò che avevano intorno.

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Tra i sapori che mi sono rimasti impressi c'è quello dei tradizionali biscotti di mandorle, un souvenir molto amato dai turisti. Assomigliano alle tortine della fortuna cinesi e quasi ogni pasticceria ne offre una diversa variante. Nacquero nel 1920 ed ebbero subito una grande successo di pubblico. Ancora oggi esistono dei negozi che li producono da oltre settant'anni, come la Yee Kee Bakery e la Choi Heong Yuen Bakery.

Il procedimento per preparare questi biscotti di mandorla è semplice. È sufficiente fare un impasto con farina, strutto, zucchero e mandorle tritate, inserire il composto in stampi singoli e aggingere all'interno delle mandorle intere. Cuocere nel forno a 180C° per circa venti minuti. Anche se esistono molte aziende che producono i biscotti industrialmente, nelle pasticcerie del centro di Macao vengono ancora preparati a mano.

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Monopoli: una domenica da mordere

Dormire nel centro storico di un paesino pugliese come Monopoli, significa svegliarsi al suono delle campane, soprattutto di domenica.
Si passa dal silenzio, rotto solo dal canto del mare, al rumore della festa: può trattarsi di un matrimonio o semplicemente della Messa settimanale e alzarsi per andare a vedere cosa succede è un obbligo, oltre che un piacere.

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I vicoli, di un bianco abbacinante, invitano a inoltrarsi per scoprire gli angoli, i colori e le voci. Sì perché Monopoli - come credo tutti i paesi della zona - parla! Dalle finestre, infatti, escono i discorsi, le discussioni, i lamenti dei bambini e le parole d’amore sussurrate. Già fin dal mattino presto, inoltre, si sentono i profumi di quello che diventerà il pranzo della domenica in famiglia: focacce, sughi, polpette e dolci a base di mandorle. La tentazione di bussare alla porta di qualcuno per assaggiare qualcosa è tanta, ma resisto e proseguo per ammirare le imposte variopinte, i fiori, il castello che affaccia sul mare un po’ agitato e continuo a camminare sul lungomare per respirare iodio e portarlo con me nella Torino autunnale.

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Vista la temperatura ancora clemente, nonostante l’autunno e le nuvole che punteggiano il cielo, per pranzo scelgo di sedermi a un tavolo in un “chiasso” - tipico cortile dove le donne, un tempo, svolgevano la maggior parte delle mansioni casalinghe per risparmiare la luce elettrica e chiacchierare con le vicine - e ordinare qualcosa di buono. Una focaccia con mozzarella e prosciutto crudo, ad esempio, o un pasticciotto leccese: un dolcetto di soffice frolla riempito di crema.
Si dice che questo goloso dolce sia nato a Galatina nel 1945 quando nella pasticceria Ascalone, un po’ per caso, si utilizzarono i resti di pasta frolla e crema pasticciera per creare un piccolo e paffuto pasticcio, che piacque subito a tutti gli abitanti della provincia e divenne presto il re dei dolci del Salento. In realtà, però, non si conoscono le vere origini del pasticciato leccese e la sua nascita resta ancora oggi un mistero. La cosa certa è che questa delizia non è reperibile al di fuori del Salento - a parte qualche raro caso - e per gustarlo non resta che prepararselo da soli.

Pasticciotto leccese

pasticciotto al cioccolato
Pasta frolla: 250 gr di farina 00 ,125 gr di burro o strutto, 125 gr di zucchero, 2 tuorli d’uovo, 1 cucchiaino di lievito per dolci, un pizzico di sale
Tagliare il burro a pezzi e lasciarlo ammorbidire a temperatura ambiente. Disporre a fontana la farina setacciata, aggiungere il sale, il lievito e lo zucchero. Unire il burro e e le uova e lavorare il tutto velocemente con la punta delle dita fino a formare una palla di pasta liscia. Coprire con la pellicola trasparente e lasciar raffreddare in frigo per almeno mezzora.

Crema pasticcera: 1/2 l di latte, 125 gr di zucchero, 4 tuorli d’uovo, 50 gr di farina 00, 1/2 stecca di vaniglia o un po’ di buccia di limone grattugiata

In una pentola capiente portare a ebollizione il latte con la stecca di vaniglia o con la buccia di limone, da lasciare in infusione qualche minuto prima di rimuoverli. Mescolare zucchero e farina, aggiungerli ai tuorli sbattuti con la frusta e mescolare con il latte caldo fino a ottenere un composto omogeneo e senza grumi. Trasferire la crema in una pentola, portare a ebollizione su fuoco dolce e mescolare continuamente fino a che non si sarà addensata.

A questo punto, tirare la pasta frolla, foderare gli stampini singoli, riempire di crema pasticcera, coprire con uno strato di pasta frolla, spennellare con tuorlo d’uovo sbattuto e infornare a 200°C per circa 20 minuti. Servire i pasticcioni caldi.

Nota: Questa è la ricetta originale, che può subire diverse varianti. Io, ad esempio, ne ho mangiata una versione al cioccolato, che in molti non riconoscono come il vero pasticciotto. In fondo, però, chi mangia solo pizza Margherita in quanto originale?


Kajal, ricetta di bellezza indiana

Neri, profondi ed espressivi. Così sono gli occhi degli indiani. Possono incutere timore, ma la maggior parte delle volte esprimono simpatia, dolcezza e vivacità. Il kajal contribuisce molto all’intensità dello sguardo, ma viene utilizzato soprattutto per le sue proprietà medicamentose che aiutano a mantenere l’occhio pulito e sano. Per tradizione, gli uomini lo applicano la sera prima di andare a dormire, mentre donne e bambini lo utilizzano la mattina dopo aver lavato il viso.

In India si prepara in casa raccogliendo il deposito di fuliggine delle lampade a ghee, che viene poi mescolato con qualche goccia di olio di neem e un pizzico di canfora naturale. È adatto anche a chi ha gli occhi sensibili e soffre di allergie e, se dopo averlo messo avvertite un leggero bruciore e gli occhi lacrimano, non allarmatevi: è la naturale reazione chimica provocata dalla canfora, che stimola la ghiandola lacrimale e aiuta mantenere l’occhio in salute.

Per prepararlo servono: ghee (o burro fuso) per il lumino, uno stoppino di cotone, olio di ricino o neem, un piatto di rame, ottone o acciaio. Per la preparazione, guardate il video qui sotto.


Curcuma: l'oro in una spezia

Ho un interesse profondo per le spezie, ma mi sono davvero appassionata durante la lettura del libro di Chitra Benerjee Divakaruni “La maga delle spezie”. Sono passati molti anni dalla prima volta che lo lessi, ma ogni tanto sento il bisogno di rileggerne qualche parte per rinfrescare la mia conoscenza sull’argomento. Attraverso il racconto di Tilo, la vecchia proprietaria indiana di una bottega di Oakland in California, si viene guidati alla ricerca del sapore più squisito o del sortilegio più sottile. Questo romanzo è la sua storia: dallo sperduto villaggio da dove viene rapita, fino in America dove attraverso la magia delle spezie aiuta chi si è lasciato l’India alle spalle. Uno dei capitoli che preferisco è quello dedicato alla curcuma:”Sollevando il coperchio del contenitore accanto alla porta della bottega, se ne percepisce subito l’odore, anche se ci vuole un attimo prima che il cervello ne registri l’aroma sottile, lievemente amaro come quello della nostra pelle, e quasi altrettanto familiare. Accarezzatene la superficie con la mano, e la serica polvere gialla vi infarinerà il palmo e i polpastrelli. Polvere d’ala di farfalla”. Non pensate che sia una descrizione estremamente poetica?

La curcuma (turmeric, in inglese) è considerata la più speciale delle spezie. In India, il principale Paese produttore, è utilizzata da sempre nella medicina ayurvedica per le sue virtù preventive e terapeutiche, soprattutto come cicatrizzante e antinfiammatorio. In Occidente viene spesso chiamata “zafferano indiano” ma, a parte il colore, non hanno nulla a che fare l’una con l’altro. La curcuma è la spezia base del curry ed è fortemente aromatica. In Italia è reperibile più che altro in polvere mentre è più difficile trovarla fresca.

Come si usa

Gli utilizzi sono molteplici e non solo in cucina per le sue proprietà benefiche. In Oriente, ad esempio, viene utilizzata nella messa in opera di vari rituali. Durante le cerimonie indù, viene utilizzata la polvere miscelata ad acqua per creare l’immagine del Dio Ganesh. Nel sud dell’India è usanza che la famiglia dello sposo regali alla sposa una collana Thali; normalmente creata da un gioielliere con il simbolo della famiglia, talvolta viene temporaneamente sostituita con una fatta di radice di curcuma essiccata. In Micronesia, come testimonia Friedrich Ratzel in “La storia del genere umano” nel 1896, la curcuma veniva usata - e avviene ancora oggi - per tingere il corpo, indumenti ed utensili durante le cerimonie.

In Occidente, invece, è facile trovarla negli alimenti codificata come E100, utilizzata come additivo per proteggere i prodotti commestibili dalla luce solare. In chimica, infine, per effettuare un test di alcalinità si tinge della carta con una tintura composta da curcuma e una sostanza basica; in questa maniera si osserva come il giallo iniziale della miscela diventi marrone rossastro per poi, essiccandosi, diventare violetto.

Ricette

La curcuma è una spezia facile da usare, ma vi lascio un paio di ricette particolarmente utili all'organismo.

The purificante: Se avete mangiato o bevuto troppo e sentite la necessità di disintossicarvi, bevete quest’infuso altamente benefico e purificante, oltre che delizioso.

ingredienti: 2 tazze d’acqua, 1/2 cucchiaino di zenzero in polvere, ½ cucchiaino di curcuma in polvere, 1 cucchiaio di sciroppo d’acero o zucchero di palma, il succo di ½ limone. Portare l’acqua a bollore, aggiungere poi le erbe in polvere e fare bollire per 10 minuti. Mettere il the in una tazza filtrandolo e aggiungendo il succo d’acero e di limone. Bere caldo.

Succo estratto di ananas e curcuma fresca: Le proprietà immunostimolanti della curcuma sono note in tutta l'Asia, mentre l'ananas oltre a essere antiffiammatorio è anche immunomodulante, regolando l’attività del sistema immunitario. L’ideale per chi, come me, ha delle difese troppo forti che possono provocare allergie.

ingredienti: 1 ananas maturo, qualche pezzo di radice fresca di curcuma. Pulire l’ananas e tagliarlo a pezzi molto piccoli, altrimenti i filtri dell’estrattore si intaseranno. Lavare le radici di curcuma, ma non pelarle, e tagliarle a fettine. Passare tutto nell’estrattore e bere un po’ di succo ogni giorno. Nota: la curcuma, a differenza dello zenzero, ha una polpa un po’ grassa che può ungere il meccanismo e tingere i materiali. Se volete semplificarvi la vita potete aggiungerla in polvere direttamente nel succo di frutta.


Hong Kong e l'arte del feng shui

Hong Kong è una città dal carattere complicato. La sera, quando si riflette luminosa sull'acqua tranquilla, si mostra rilassata: il traffico è meno opprimente e i suoni sembrano attutiti dalle tenebre. Di giorno, invece, travolge con la sua irruenza, irritando chi è in cerca di un po' di pace lungo le strade cittadine.

Eppure, Hong Kong pare essere felice; forse grazie al feng shui secondo cui è stata costruita. Questa antica pratica cinese, il cui nome letteralmente significa "vento e acqua", permette di posizionare oggetti ed edifici in armonia con la Natura, in modo da attirare la buona sorte. Nonostante stiamo parlando di una città molto moderna, i suoi abitanti sono profondamente convinti che il feng shui attragga prosperità e allontani la sfortuna. Così, prima di costruire un palazzo, decidere la planimetria di un ufficio o di acquistare una nuova casa, viene interpellato un consulente.

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Nulla è fatto a caso a Hong Kong: i leoni davanti al grattacielo della HSBC ne sono un esempio. Le statue sembrano puramente decorative, invece sono state sistemate appositamente per favorire gli affari. Tra l'altro Stephen e Stitt - così si chiamano i leoni - hanno una storia molto travagliata. Durante la Seconda Guerra Mondiale sono stati prima colpiti dai proiettili, come si può vedere sul fianco di Stephen, e poi spediti in Giappone per essere fusi. Avvistati per caso e riconosciuti da un soltato americano, sono stati salvati e rispediti in patria. È buona abitudine, per attirare a sè un po' della loro fortuna, sfregargli il naso.

La città stessa ha una posizione considerata perfetta per il feng shui. Il territorio su cui sorge simboleggia ul luogo in cui ogni cosa viene portata a buon fine. Inoltre, le catene montuose del sud della Cina assomigliano ai movimenti di un drago che confluiscono in Hong Kong, proteggendola mentre guarda indietro al suo cuore antico. Infine, le acque del Victoria Harbour portano stabilità e prosperità.

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Per ammirare Hong Kong in tutto il suo splendore, è bene salire al Victoria Peak che può essere raggiunto con la storica cremagliera risalente al 1888 oppure con il bus numero 15. Io consiglio di prendere la prima per salire e il secondo per scendere, in modo da avere una visione più completa della zona. La terrazza da cui ammirare il panorama si trova all'ultimo piano di una torre che include un centro commerciale e dei ristoranti. Avrei preferito meno folla, ma da un punto così scenografico e una città così popolosa, non si può pretendere l'impossibile.

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Armenia | Arcano Paese

Hayasta è il nome con cui gli armeni, ancora oggi, si riferiscono al loro Paese. Nome derivato da Hayk, secondo la tradizione discendente diretto di Noè. La leggenda narra che dopo il Diluvio Universale l’arca sia approdata sul Monte Ararat, l’imponente monte che domina il paesaggio dal lato occidentale dell'Armenia, che confina con la Turchia.
Fu proprio nella valle ai piedi del Monte che San Gregorio l’Illuminatore riuscì a convertire il re e l’intera zazione al Cristianesimo. l’Armenia così divenne il primo Paese al mondo ad aver adottato questa come religione di Stato. Da allora, l’essere cristiani, è stato uno dei pilastri dell’identità armena che ogni domenica è possibile osservare partecipando, insieme alle decine di fedeli che vi accorrono, alle funzioni in una delle numerose chiese. Malgrado la fede profonda e l’attaccamento alle usanze cristiane, in Armenia sono sopravvissute alcune tradizioni pagane come il matagh, il sacrificio animale, che ha origini molto antiche ed è ancora diffuso. Sembra che venisse praticato dagli armeni in epoca precristiana e, ancora oggi, non è inusuale vedere gruppi di persone che brandiscono, ad esempio, un gallo da sacrificare per invocare aiuto divino.

Khor Virap

Uno dei luoghi in cui avviene la pratica del sacrificio è Khor Virap, il più importante monastero armeno. Situato vicino al confine con la Turchia, gli fa da sfondo l’imponente Monte Ararat, simbolo del popolo armeno ma che si trova in territorio turco. Il suo nome, in lingua armena, significa “prigione in profondità” ed è qui che San Gregorio rimase imprigionato per tredici anni, prima di riuscire a convertire il Re. Durante la sua prigionia numerose donne fedeli gli portavano di nascosto il cibo nel sotterraneo in cui era incatenato; in quella cripta, ancora oggi, vengono offerti animali in sacrificio. Altra tradizione pagana è la festa della Candelora, che celebra la presentazione di Gesù al Tempio quaranta giorni dopo Natale. Nel buio invernale viene celebrata una Messa durante la quale vengono benedette le candele all’interno della Chiesa ed i falò all’esterno. A questa pratica si è aggiunta l’usanza di accendere delle candele con il fuoco benedetto dei falò e di portarle nelle case delle coppie che si sono sposate nell’anno precedente e di quelle appena fidanzate. Una volta acceso un fuoco con le fiamme di queste candele, le coppie vi saltano sopra per liberarsi degli spiriti maligni. Molti sono i monasteri da visitare, simili dal punto di vista architettonico ma ognuno unico per la posizione in cui è situato. Edifici costruiti per lo più in tufo, basalto e granito; materiali di cui il paese è ricco e che risulta maggiormente resistente rispetto, ad esempio, al legno. Le caratteristiche su cui si basa l’architettura armena sono la solidità e la sobrietà che la differenziano nettamente da quella bizantina, a cui spesso viene erroneamente paragonata. Gli unici elementi decorativi sono gli eleganti lavori di intaglio nella pietra, le nicchie e i khatchkar, inseriti nei muri delle chiese. I khatchkar (letteralmente croci-pietra), sono lastre di tufo sulla cui superficie vengono scolpiti simboli cristiani e, prima fra tutte, la croce dalla base fiorita, che simboleggia la continuità della vita. Queste lastre rappresentano un elemento decorativo tipicamente armeno presente in quasi tutti gli edifici religiosi.

Monastero di Gheghard

Tipico esempio di architettura armena medievale è il Monastero di Gheghard. Situato in fondo ad uno stretto e spettacolare canyon lungo il quale scorre il fiume Azat. Il monastero e la valle sono stati designati patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Gheghard significa “monastero della lancia” poiché lì veniva conservata la lancia che pare trafisse il costato di Cristo, ora esposta nel tesoro di Etchmiadzin.

Più a sud est, quasi al confine con il Nagorno Karabakh, si trova Tatev, complesso monastico poco visitato a causa della difficoltà di accesso. La strada per raggiungerlo è sterrata e molto accidentata ma entro l’anno prossimo verrà terminata una funivia che da Goris porterà direttamente al monastero.

Sevanavank

Più a est, sulla penisola di Sevan, affacciato sull’omonimo lago, si trova Sevanavank, uno dei luoghi storico-culturali più significativi in Armenia. Fondato da Gregorio l’Illuminatore, durante l’invasione dei mongoli venne saccheggiato e distrutto. Ricostruito nella prima metà del 1400, venne chiuso durante il regime sovietico e le pietre di cui era costruita la Chiesa vennero utilizzate come materiale edile per una casa di riposo. Tuttavia negli anni 90 ha ritrovato nuovo splendore con il suo restauro e la riapertura del seminario.

Tempio di Garni

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L’unico edificio pagano dell'Armenia, che resta a testimoniare la grande influenza dell’arte ellenistica in questo Paese. Costruito secondo i principi della Geometria Sacra perfezionata dai pitagorici nella Grecia antica, l’edificio odierno è stato ricostruito sull’edificio originale distrutto dal terremoto nel 1679. Nella Geometria Sacra i numeri venivano combinati con le forme per creare un’insieme armonico. L’idea era quella di unificare l’umanità con l’insieme cosmico. Ai numeri sacri veniva attribuito un significato che trovava conferma nella fede mistica; in pratica si pensava che se i numeri sacri venivano utilizzati in certe giornate o in determinate combinazioni gli dei si placavano ed era possibile diventare membro di quella famiglia metafisica. In generale, tutti i monasteri e gli edifici armeni valgono la pena di essere visitati, per la loro architettura e per la natura meravigliosa che li circonda. Circa metà della superficie armena si trova ad un’altitudine di almeno 2000 metri ed è caratterizzata da grandi escursioni termiche tra giorno e notte. I paesaggi sono mutevoli, immensi campi di grano, numerosi corsi d’acqua, valli lunghe e rigogliose, steppe erbose e tratti boschivi. Il paesaggio è totalmente differente quando ci si avvicina a Yerevan, la capitale.

Yerevan

Arrivando via terra l’impatto non è dei migliori. La periferia di nessuna città risulta generalmente attraente ma qui fa venire voglia al visitatore di andarsene immediatamente. Enormi fabbriche abbandonate, edifici fatiscenti e ruggine onnipresente non invogliano ad una visita più approfondita. Se però non ci si lascia intimorire dal primo impatto e dalla difficoltà di circolazione a causa della totale mancanza di indicazioni stradali, si avrà la possibilità di scoprire che Yerevan si sta lentamente risollevando dopo la caduta del regime comunista. La città ha una pianta circolare costituita da viali alberati al cui centro si trova Piazza della Repubblica. A parte l’Opera, che ospita il teatro e il balletto, e qualche monumento sovietico non offre molte altre attrattive però passeggiare per le vie del centro è piacevole. Yerevan si anima soprattutto dopo il tramonto quando i numerosi locali con dehors si affollano di giovani in cerca di alcool e musica dal vivo.


Armenia | La lunga strada per Tatev

Mai fidarsi delle mappe stradali, anche se recenti.

Immaginate di trovarvi di fronte l’imbocco per una strada completamente sbancata e montagne di terra a destra e manca. Davanti a voi solo buche, sassi e 10 chilometri da percorrere. Quello di Tatev, in Armenia, è un complesso fortificato cinto da imponenti mura, sulle quali è possibile camminare per ammirare il panorama sulla valle sottostante. La sua posizione strategica l’ha sempre reso inaccessibile ai nemici ed è per questo motivo che divenne sede vescovile e centro politico e amministrativo della regione di Syunik. Una singolare opera che si trova all’interno del complesso è il monumento : una colonna di otto metri costituita da pietre sovrapposte e sormontata da un katchkar. In caso di scosse sismiche, il pilone si inclinava per poi tornare alla sua posizione iniziale, segnalando così il pericolo di un terremoto.

Lungo la tortuosa via è possibile fare una pausa per vedere una formazione rocciosa naturale simpaticamente denominata il ponte del diavolo. La leggenda narra che Shushan volesse attraversare la valle per andare dal suo fidanzato. Il diavolo le offrì aiuto in cambio della sua anima; la ragazza subito accettò ma successivamente, quando ormai il diavolo aveva già iniziato a costruire il ponte, si pentì e decise di buttarsi nella valle, piuttosto che cedere l’anima a Satana. Nella realtà il ponte si è formato grazie all’accumulo secolare di sedimenti di minerali e sale di calcio lungo il fiume. Dopo le piscine naturali che si trovano vicino al cima del ponte c’è un ripido crinale dotato di corda lungo il quale ci si può calare.

toy e tenda

Percorrere la tortuosissima strada ha richiesto quasi due ore che sono state molto stancanti per noi sul fuoristrada ma devastanti per i motociclisti. La fatica è stata ripagata dal luogo suggestivo e dal panorama mozzafiato che si gode dal Monastero arroccato su quell’alta montagna. Fuori dal complesso fortificato c’è una casina con un’improbabile insegna che indica l’Ufficio Turistico. Fame e fatica ci hanno fatti entrare a chiedere se fosse possibile mangiare e, con grande sorpresa, la risposta è stata affermativa. Non è stato il pasto migliore della mia vita (poco saporito e misero in quantità, come ovunque in Armenia) ma la birra locale era ottima e ci ha permesso di rifocillarci in vista del rientro. Per fortuna di strada ce n’è un’altra, molto più lunga ma meno pericolosa.


Turchia | Dara, la città sepolta

Dara. Potrebbe sembrare un esotico nome di donna invece si tratta di un città sepolta da tempo immemorabile e sconosciuta al resto del mondo. Non ne parlano le guide turistiche e solo gli abitanti della zona, o qualche archeologo, vi possono raccontare di lei. Giace sotto l’odierna Oğuz, 30 Km a sudest di Mardin nella Turchia orientale. Costruita approssimativamente nel 505 su tre colli, fu progettata per resistere agli attacchi da parte delle città di Nisibi, Diyarbakir e Antakya, città molto vicine all’allora confine persiano-romano.

Si tratta di una città fortificata che, anticamente, era protetta da 4 Km di mura e che l’Imperatore Anastasio decise di costruire per dare alle legioni un luogo dove riposare, preparare le armi e sorvegliare il confine, ornandola di chiese, granai, baluardi e torri. Sulla collina più alta venne costruita la cittadella, completata da empori, un bagno pubblico, cisterne per l’acqua ed al centro, il castello. Come spesso accade di trovare all’interno delle fortezze.

Nel 530 Dara fu teatro dell’omonima battaglia che, nel VI secolo, fu molto importante in quanto fu la prima in cui i Romani d’Oriente vinsero in maniera decisiva contro i Persiani sul confine che divideva i due Imperi e confermò l’importanza della città per la sicurezza della frontiera. Secondo Procopio, le cui opere raccontano il periodo dell’imperatore Giustiniano I, le mura fortificate vennero però costruite in un tale breve tempo da causarne la scarsa qualità. Le difficili condizioni climatiche, poi, ne accelerarono il deterioramento. Perciò Giustiniano I ne ordinò la ristrutturazione; raddoppiò l’altezza delle mura e le torri vennero rinforzate ed alzate.

L’imperatore, inoltre, ordinò di deviare il fiume Cordes in maniera da approvvigionare la città d’acqua. Essendo il corso fluviale per lo più sotterraneo, la guarnigione aveva il potere di negare l’acqua agli assedianti, fatto che aiutò a salvare la Città in diverse occasioni. La realizzazione delle due porte fluviali, l’irrobustimento degli argini per la canalizzazione dell’acqua e l’ampliamento della cisterna situata alle pendici delle tre colline, costituirono un vero e proprio capolavoro di urbanistica ed ingegneria idraulica. Per la costruzione delle strutture vennero utilizzati materiali del luogo e le squadre di lavoro furono sempre le medesime, cosa che contribuì a mantenere omogeneità di lavorazione. Inoltre, diventando gli operai stessi parte della popolazione, tramandarono ai discendenti le tecniche di costruttive.

Sembra che tali maestranze fossero di origini siriaco – mesopotamiche e questo gruppo etnico ebbe una grande importanza a livello storico. Questi arabi cristianizzati, infatti, no si adeguarono passivamente ad un modello culturale ma apportarono la propria conoscenza in campo architettonico e decorativo. La base stilistica poggia sull’arte degli Omayyadi che, alla stessa maniera, utilizzavano pietra locale ricavata dalle cave vicine e la lavoravano per realizzare motivi stilistici particolari. Nel 2010 le opere superstiti e portate alla luce erano la necropoli, le cisterne e il sistema difensivo. Gli scavi hanno avuto inizio molti anni fa e continuano incessantemente con la presenza di una gentile archeologa turca, che parla un inglese perfetto, disponibile ad elargire informazioni sul sito.

Visitare Dara è come camminare nei libri di storia letti da bambini ma sentendosi un po’ pionieri, essendo un luogo ancora sconosciuto e misterioso.


French Toast a colazione: storia e ricetta

Una storia misteriosa, quella del French Toast. È apprezzato e conosciuto in tutto il mondo, ma nessuno sa davvero quali siano le sue origini. Un suo antenato viene nominato da Apicio in un libro di cucina dell’antica Roma, dove si parla di pane tagliato a fette, imbevuto di latte, fritto e cosparso di miele. Ogni Paese, comunque, gli attribuisce un nome diverso: Pain Perdu in Francia, Poor Knights ok Windsor in Gran Bretagna, Armer Ritter in Germania, come scrivevano i fratelli Grimm in alcuni libri. Ma è negli Stati Uniti che assume il nome di French Toast. Nonostante sembri richiamare la Francia, una leggenda racconta che l’appellativo si riferisce a un tal Joseph French che pare aver inventato questa ricetta nel 1724 attribuendole il proprio nome, che quindi per correttezza dovrebbe chiamarsi French’s Toast.

Io, che difficilmente riesco a eseguire una ricetta pedestremente senza apportare qualche personalizzazione, ho variato qualche ingrediente rispetto agli originali. L’ho preparato una domenica a colazione e mangiato in giardino, mentre il sole iniziava a scaldare e le rose profumavavo l’aria.

French Toast

ingredienti: 2 fette di pane raffermo, 2 uova, 1 bicchiere di latte di soia, 1 cucchiaino di cannella in polvere, frutta fresca, sciroppo d’agave, burro, olio di semi di arachide

Sbattere le uova con il latte di soia e la cannella e immergervi le fette di pane per circa 10 minuti. Scaldare metà burro e metà olio e far rosolare il pane imbevuto da entrambe le parti fino a quando non diventa croccante. Adagiare il pane su un piatto e guarrnire con sciroppo d’agave (o acero) a piacere e frutta fresca. Ottimo anche con lo sciroppo di rosa.


Corea | L’artista di Gwangju

Nau aveva deciso da tempo di vivere a Gwangju per inseguire una grande passione. Fin da quando era piccola rimaneva incantata nell’osservare il nonno mentre muoveva con maestria ed eleganza quei grandi pennelli. Riusciva a realizzare delle vere opere d’arte, soprattutto se viste dagli occhi di una bambina che non riusciva ancora a decifrare i misteriosi segni.

La Corea ha una lunga storia proveniente dalla Cina che la lega all’arte calligrafica, anche se sono rimaste poche testimonianze di scritti antichi a causa delle numerose invasioni. Ciò che oggi si sa a riguardo è stato tramandato dalle scritture buddiste e dagli epitaffi in memoria dei monaci. La calligrafia, o sŏye in coreano, fiorì durante l’Antico Chosŏn (1392-1910) quando il confucianesimo divenne la filosofia di Stato. In questo lungo periodo ogni gentiluomo che si rispettasse doveva dimostrare un’approfondita preparazione in poesia, calligrafia e pittura, arti considerate come la via per esprimere una mente pura e nobile.

calligrafia corea

Per combinare i tre talenti erano necessari solamente un pennino, una pietra per la preparazione dell’inchiostro, un pennello fatto da pelo animale e carta. Ogni calligrafo doveva essere in grado di scrivere senza fare alcun ritocco o ombreggiatura, riuscendo a mantenere la stessa distanza tra le pennellate.

Il nonno di Nau era un maestro in questo, un vero gentiluomo confuciano. Gli piaceva scrivere seduto sul pavimento di legno sotto al portico del suo hanok perché per lui la Natura era una grande fonte di ispirazione. I fiori, dai petali talmente soffici da sembrare di velluto, le farfalle con le ali variopinte, gli stagni nelle cui acque si specchiava il cielo creando forme sempre nuove e, infine, le montagne, custodi di mille magie e segreti.

Nau decise di trasferirsi a Gwangju, città dell’arte, proprio per tramandare la tradizione della calligrafia trasformandola in professione, in modo da poterla mostrare al mondo. Stare lontana dal suo villaggio non era facile, ma ogni pennellata era dedicata alla sua terra, le cui immagini rimanevano impresse nella sua mente aiutandola a perfezionare una tecnica antica, mantenendo la sua proverbiale calma zen.


Corea degli spiriti

Ogni tre anni Nau deve tornare al proprio villaggio. Non aspettava certo così tanto tempo da una visita all’altra, ma ogni anno bisestile c’è un compito da assolvere molto importante. In Corea sopravvive la tradizione di sistemare all’ingresso di ogni centro abitato i jangseung: totem realizzati in legno per allontanare gli spiriti maligni. Il montaggio e la sostituzione di ogni totem richiede rituali ben precisi.
Innanzitutto è necessario fare una riunione per designare l’uomo che condurrà le cerimonie. Deve essere scelto tra coloro che, in un certo periodo di tempo, non abbia mai visto un corpo senza vita o il sangue di un animale e che sia considerato un individuo fortunato.

spiriti corea

Altre persone, invece, hanno il compito di pulire l’area destinata ai totem, preparare il cibo per le offerte, selezionare e abbattere gli alberi scelti per diventare jangseung, intagliarli con le preghiere e montarli. Devo essere realizzati ed eretti tutti nel medesimo giorno e viene normalmente utilizzato il legno di noce o, a volte, di ontano.
A Nau viene da ridere ogni volta che guarda i volti minacciosi, spesso irridenti, di queste enormi maschere. Con Yon, amica di sempre, trascorrono le lunghe e calde notti estive a raccontarsi storie di spiriti guardando le stelle nel cielo, immaginando il proprio futuro. Nau il proprio lo ha già scelto, faceva l’artista, ma Yon, che ha un fiore di loto nel nome, ha sempre voluto danzare: cosa difficile da realizzare vivendo in una zona rurale.

Nel poco tempo che riescono a trascorrere assieme, le ragazze cercano di costruire, almeno nella propria mente, la vita perfetta. Nessuna delle due agognava a una famiglia, una casa protetta dai jangseung o a tante giare di kimchi in giardino, scorta fondamentale per l’inverno. Desideravano una carriera e un amore con cui esplorare il mondo, per vedere cosa c’è al di là del mare.


Saline di Bex: il sapore delle Alpi svizzere

Quando il mare si ritirò dalla Svizzera circa 200 milioni di anni fa, lasciò dietro di sè un prezioso regalo: il sale. Custodito dalle rocce durante la formazione della Alpi, è riuscito a mantenere la propria purezza e ricchezza minerale. Oggi è possibile ripercorrere la storia del Sale delle Alpi nella miniera di Bex dove un tempo lavoravano circa duecento uomini.

Storia delle Saline di Bex

Si dice che la miniera sia stata scoperta nel XV secolo grazie ad alcune capre che preferivano bere l’acqua in alcuni posti specifici. Il loro pastore, allora, decise di capire meglio sorbendone un sorso, sentendo subito che aveva un sapore insolito. Provò allora a bollire un po’ di quell’acqua e notò alcuni depositi cristallizzati sul fondo del contenitore. Iniziò così l’esplorazione delle Alpi nel Canton Vaud, fino alla scoperta del prezioso giacimento.

Inizialmente pozzi e cunicoli furono scavati con il solo ausilio di martello e scalpello e successivamente ingranditi con l’aiuto della polvere da sparo. La prima galleria fu scavata nel 1684 e ancora oggi si estraggono, in maniera molto più agevole, circa 40.000 tonnellate di sale all’anno.

Mentre inizialmente il sale veniva ricavato per evaporazione dell’acqua, nel 1877 Antoine Paul Piccard inventò l’estrazione per termocompressione, tecnica che ha permesso di ridurre il 95% di energia necessaria per far evaporare la salamoia.

Il museo

Il museo, aperto dal 1985, visitabile oggi aiuta a capire la difficile vita del minatore, costretto e vivere in un ambiente angusto e pericoloso, e a scoprire le tecniche di estrazione. A bordo di un trenino largo quanto il tunnel, si raggiungono velocemente le viscere di questa terra alpina per poi proseguire a piedi in un percorso fatto di luci, storie, acqua e benessere, perché respirare l’aria sulfurea fa bene alle vie respiratorie.

Un viaggio nella Svizzera sotterranea che, grazie a una temperatura costante di 17°C con l’80% di umidità, è considerata utile per fare invecchiare il vino. Qui infatti viene lasciato riposare per un anno, mentre in condizioni normali ne richiederebbe tre.

Benefici del sale

Come si diceva nel film “Un tocco di zenzero“, il sale può essere paragonato al sole, perché è fondamentale per la vita.

Nella giusta quantità – 5 grammi al giorno – è, infatti, un minerale utile al corretto funzionamento degli organi, del sistema nervoso e al benessere di cellule e ossa. Fa bene alla pelle e alle vie respiratorie, soprattutto per chi soffre di allergie. Infine è necessario per la preparazione di di ottime ricette gastronomiche. In particolare il Sel à l’ancienne è l’orgoglio delle Saline di Bex. Per la sua estrazione la salamoia è fatta evaporare lentamente su un fuoco fatto con legno di larice secondo una tecnica che risale al XVII secolo. Viene poi confezionato al naturale, senza l’aggiunta di nessun altro ingrediente.

Link: Turismo in Svizzera