Polpette bresaola, zucchine, ras el hanout e ricordi d'infanzia

Nonna Flora non era una grande cuoca. Non lo era nel senso che cucinare non era per lei una passione, ma una necessità. Eppure, quando preparava i pranzi per le riunioni di famiglia dava il meglio di sé riuscendo a creare bocconi deliziosi, che attendevo di anno in anno. Gli incontri familiari, infatti, si svolgevano più che altro a Natale, quando ci incontravamo tutti a Firenze per qualche giorno. Dei piatti che la nonna preparava, ricordo con particolare piacere le polpette. Le preparava in maniera classica: di manzo al pomodoro, ma anche infarinate al limone o fritte. Da allora sono rimasta affezionata al ricordo delle polpette, che mi piacciono di ogni composizione e forma. Oggi ho deciso di farne una versione sana a base di zucchine, bresaola e ras el hanout.

Perché questi ingredienti?

Le zucchine perché sono ancora di stagione, ma potete scegliere qualsiasi altro tipo di verdura. Io insisto sui vegetali estivi perché già mi sento male all'idea che tra poco troverò solo più cavoli e cavoletti.

La bresaola della Valtellina IGP, invece, l'ho scelta per dare il giusto apporto di proteine magre: tanto gusto con poche calorie. Mi piacciono la sua morbidezza e il sapore leggermete affumicato, dato dalla stagionatura.

Il ras el hanout, invece, l'ho portato al rientro del recente viaggio in Marocco. È una miscela che, per tradizione, include il meglio delle spezie - dalle 20 alle 50 - e come base deve contenere: cardamomo, macis, galanga, noce moscata, cannella, chiodi di garofano, zenzero, pepe lungo, pepe nero e boccioli di rosa. Con la sua leggera piccantezza ha lo scopo di scaldare il corpo oltre che di dare sapore.

ras el hanout

Polpette bresaola Valtellina IGP, zucchine e ras el hanout

Ingredienti per circa 20 polpette: 300 g zucchine, 100 g bresaola Valtellina IGP, 1 cucchiaino ras el hanout, 1 uovo (va bene anche solo l'albume), pangrattato qb, sale, olio evo

Frullare le zucchine crude, la bresaola e le spezie. Aggiungere l'uovo e il pangrattato fino a che non si ottiene un composto morbido ma compatto. Aggiustare di sale e lasciare riposare in frigo per circa mezzora. Formare polpettine rotonde che possono essere cotte in due modi: in padella, facendole rosolare in un po' di olio evo, o in forno leggermente spennellate con olio.

Ottime come antipasto, ma anche come secondo piatto. Servire le polpette calde accompagnate da un buon calice di vino: io abbinerei un Gewürztraminer o un Negroamaro rosè.


La Digue, la più bella delle Seychelles

"Vittorio, io non vado in bicicletta da... boh, non ricordo nemmeno da quando."

"Ma sì dai, non si dimentica mica!"

"Sarà, però tu vai piano e stammi vicino."

Così è iniziata la visita a La Digue, piccola e splendida isola delle Seychelles.

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Si arriva in traghetto, con una breve traversata da Praslin, e al porto è possibile affittare una bici: La Digue è quasi interamente pedonale. Con il sole che brucia la pelle e l'aria tra i capelli, pedaliamo fino ad Anse Source d'Argent, la laguna a oriente formata grazie alla presenza di un'estesa barriera corallina. Le rocce levigate dall'acqua limpida e calda assumono forme sempre diverse.

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La Digue è poesia. Una di quelle delicate, che con poche parole riescono a delineare leggere pennellate di colore. Un haiku elegante, da leggere e rileggere per interpretarne le diverse sfumature, senza annoiarsi mai.

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Io non so cosa sia stato, se la tranquillità dell'isola o l'emozione di aver usato una bicicletta senza farmi male (non prendetemi in giro ;-) ), ma La Digue è l'isola delle Seychelles dove vorrei tornare, un giorno, per trascorrere molto più di quelle poche ore. Vorrei farmi cullare dalla sua brezza al tramonto, tuffarmi nelle acque calme di prima mattina e camminare senza meta, per conoscerne gli angoli più intimi.

Lo spirito delle Seychelles

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Assaggio, assaggio tutto. E spesso quello che mangio (e bevo) mi piace tanto. È stato il caso del'autoctono rum Takamaka, rigorosamente scuro e invecchiato. Viene prodotto a Mahé nella tenuta La Plaine Saint André con l'acqua pura proveniente da falda artesiana e canna da zucchero bio, coltivata sulla più grande delle isole. Viene distillato in tre alambicchi di rame e poi lasciato invecchiare in botti di rovere francese e americano. Il risultato è un rum di lusso, ottimo puro ma anche nei cocktail. Non può mancare al tramonto, accompagnato da chips di platano e banana.

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Ficini Torino | Che ne sai tu di un germe di grano?

A San Salvario, quartiere alla moda di Torino, c'è una panetteria da dove difficilmente potrete uscire senza aver comprato qualcosa. Ficini è nato nel 1988 e, ancora oggi, rimane fedele ai principi di qualità e genuinità sui cui si basa la nascita del buon pane. La lunga lievitazione garantisce un impasto soffice e altamente digeribile, anche quando viene usato il lievito di birra al posto della pasta madre. Qui si trova il pane sciapo di Altopascio (il mio preferito) insieme a tante altre tipologie come quello senza lievito con i semi, adatto anche a chi segue un regime alimentare vegano. L'utilizzo dei grani antichi, provenienti dalla Sicilia, garantisce ricchezza al gusto, mentre le farine macinate a pietra sono utili a mantenere le proprietà del germe di grano.

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Germe di grano, un alimento prezioso

Il germe è uno degli elementi più preziosi contenuti nel grano: nutriente e in grado di offrire molte sostanze utili al benessere dell' organismo come gliaminoacidi, gli acidi grassi, i sali minerali, le vitamine del gruppo B e la vitamina E.

Alcuni studi statunitensi affermano, inoltre, che l'assunzione regolare dei germogli di grano aiutano a migliorare la resistenza alla fatica fisica, ad aumentare la concentrazione e a rinforzare le difese immunitarie.

Da Ficini, insomma, il pane oltre a essere buono fa anche bene. Le focaccine peperoni e acciughe poi, lo garantisco, aiutano anche a risollevare l'umore. ;-)

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Panificio Ficini | Via Berthollet 30, Torino | t 0116699558  | Orario: 7/19.30 - Chiuso domenica.


Marocco, il ritorno dopo 12 anni

Tra poco più di una settimana sarò in viaggio per il Marocco. Il fuoristrada è quasi pronto - è dal meccanico per un ultimo check-up -, la tenda sul tetto è già montata e il materiale da campeggio è sempre a disposizione. Manca solo lo zaino con l'abbigliamento, ma a quello penserò all'ultimo.

Un viaggio un po' imporvvisato, questo, a causa di una disavventura famigliare e quasi obbligato, volendo partire in macchina. Purtroppo le mete da raggiungere con la propria auto sono sempre meno (se si cerca il caldo) e, così, ho deciso che forse era arrivato il momento di tornare in Marocco. Lo stesso Paese che visitai 12 anni fa, ma che non mi colpì al cuore ma che in questo lungo tempo ha subito grandi cambiamenti. I miei genitori, da quel viaggio fatto insieme, lo hanno frequentato ogni anno per alcuni mesi e ne sono rimasti affascinati. Io non voglio porre limiti né a me, che ho intenzione di guardarlo con occhi diversi, né a lui che magari mi si vorrà mostrare con un volto nuovo.

L'itinerario in Marocco

In realtà non so esattamente dove andrò. So che non mi fermerò a Marrakech, ma che di sicuro andrò a Fes (dove ho già prenotato un riad dove incontrerò una persona speciale), a Essaouira, lungo la via delle kasbah, a Sidi Ifni, a Chefchaouen e... chissà dove mi porteranno le ruote del mio Toyota HDJ80. Ma prima di arrivare a Tangeri di sicuro farò qualche visita spagnola.

Prima di partire, però, ho una festa da organizzare. Quella per i 10 anni di matrimonio con il compagno di viaggio migliore che potessi incontrare.

A presto, ci risentiamo dalla terra africana.


Thailandia in un soufflè di pesce: Hor Mok in my mind

Soffice, cremoso e molto piccante. L'Hor Mok è un dono che la Thailandia ha voluto farmi in una calda sera d'agosto.

Trat è una cittadina quasi al confine con la Cambogia, da dove partono i traghetti per la deliziosa Ko Chang. Nonostante le piccole dimensioni è abbastanza caotica, ma la sera, quando il sole tramonta, mostra il suo cuore più calmo. Il luogo migliore per asaggiare il cibo locale è il mercato notturno, dove le bancarelle si alternano offrendo dolci, salsicce arrosto, pesce fritto e noodles in brodo.

Camminavo stanca e un po' accaldata, sorridendo a tutti quelli che accettavano di farsi fotografare, quando son stata colpita dalla bellezza di un piatto. Elegante, cromaticamente perfetto e dal profumo terribilmente invitante. Senza avere il tempo di ordinarne uno, la gioviale ragazza dietro il banco me ne ha messo uno in mano invitandomi ad assaggiarlo, con il divertimento dei vicini di ventura. A quel punto ho iniziato ad avere un po' di timore: se non mi fosse piaciuto come avrei potuto gettarlo, con tutte quelle persone in attesa di un mio responso?

peperoncini thai

Ho affondato l'indice e il pollice nella tortina, portando alle labbra un boccone: non solo era buono, ma straordinariamente equilibrato nonostante la quantità di peperoncino. Dopo le foto di rito - quelle che loro hanno voluto scattare con me - ho proseguito l'esperienza gastronomica nel mercato, ma nulla ha saputo eguagliare in gusto e bellezza l'Hor Mok.

Se non avete in programma a breve un viaggio in Thailandia per andarlo ad assaggiare, provate a prepararlo a casa. Gli ingredienti sono tutti reperibili nei negozi alimentari etnici.

Hor Mok - Ricetta

6 foglie di banano,  250 g di filetti di pesce, 1/2 tazza di pasta di curry rosso, 1 cucchiaio farina di riso, sale qb, 1 cucchiaino zucchero di palma o cocco, 2 uova, 1/2 tazza latte di cocco, 1/2 tazza salsa di pesce, coriandolo fresco, 3 peperoncini rossi thai, foglie di keffir lime

Formare dei contenitori piegando le foglie di banano e fermandole con uno stuzzicadenti. In una ciotola, mescoalre pasta di curry, farina di riso, sale, zucchero, uova e pesce tagliato a piccoli pezzi. Versare il latte di cocco in una paentola dai bordi alti, unire un po' di farina e un pizzico di sale; lasciare cuocere fino a quando non si forma una salsa spessa (deve risultare una besciamella soda). Riempire i contenitori di foglie prima con la crema di curry, poi con la salsa di cocco e guarnire con coriandolo e keffir lime tritati e peperoncini interi. Cuocere a vapore per circa 20 minuti. Servire caldo o a temperatura ambiente.


Quattro tazze di tempesta: il potere magico del tè in un romanzo

Quattro tazze di tempesta è un romanzo che racconta due cose di cui non potrei privarmi: le amiche e il tè. Senza le prime non avrei potuto superare le mie di tempeste e, senza il secondo, non saprei come scaldarmi in inverno e accendere la fantasia mentre scrivo.

Conosco Federica Brunini da qualche anno, ormai, e la ritrovo in tanti dettagli dei personaggi di questo libro. Dettagli che rimarranno tra me e la scrittrice, naturalmente, ma che forse mi hanno fatto sorridere o commuovere qualche volta di più.

La storia

Viola cerca rifugio dal dolore per la perdita del marito nel Sud della Francia, dove gestisce una piccola sala da tè insieme alla fidata collaboratrice Azalée e la dolce cagnolina Chai. Ogni anno, in occasione del suo compleanno, le tre amiche storiche - Chantal, Mavi e Alberta - si riuniscono nella sua splendida casa, circondata dai campi di lavanda, per condividere storie di amori, di vita e... qualche tempesta. Quattro donne che hanno fatto scelte diverse e che si completano a vicenda. Ma come in ogni rapporto, arriva il giorno in cui il cielo si oscura e i tuoni fanno tremare i vetri della sicurezza e dell'affetto, mentre le foglie di tè si spargono per terra come i cocci di un piatto rotto per rabbia e dolore.

Un tè per amico

Limpido o torbido, verde paglierino, scuro come la terra bruciata al sole, rosso come le foglie d'autunno, caldo come il fuoco di un camino, ma anche freddo come un brivido. Il tè, quello buono, è una bevanda preziosa e antica dalle mille proprietà e Federica, in Quattro tazze di tempesta, ne parla come di un amico che sa consigliare e consolare. Ne esistono migliaia di tipi differenti, così come esistono donne dalle infinite sfaccettature. Il tè, come la donna, è accogliente, sa confortare e far meditare: ogni tazza è un infuso di cuore. Il mio tè preferito? Il Green Litchi, che nel libro viene utilizzato nel dolce di compleanno di Viola: torta al cioccolato bianco con ripieno di vaniglia e, appunto, tè verde al litchi.

Il libro

Questo romanzo racconta il mondo femminile con tutte le sue sfaccettature e incongruenze. Travolge come una marea, ma avvolge come un abbraccio. È una lettura che scorre veloce fino all'ultimo capitolo, quando il lettore frena all'improvviso per non permettere che finisca così in fretta. Attraverso le tante metafore, insegna molto sulle donne e alle donne: perseguire i propri sogni, imparare ad apprezzarsi sempre, avere fiducia in se stesse (e negli altri), il potere del perdono e dell'amicizia. Nulla di banale, sia chiaro. Tutto è raccontato con la sensibilità di una donna che ha saputo affrontare il mondo e la semplicità che pochi, come Federica, sanno trasformare in profondità e intimità.

Una tempesta, prima o poi, travolge tutti. Tanto vale imparare a ballare tra vento e nuvole. E se si è in compagnia di buone amiche, ci si riesce anche meglio.

Quattro tazze di tempesta | Autore: Federica Brunini | Editore: Feltrinelli (collana: I narratori) | Pagine: 224 | Prezzo: 15 €

Infine, se vi piace sperimentare, non perdete Le Ricet-tè: gustosi menu a base di tè, sempre scritto da Federica Brunini, dove trovare ricette ispirate al romanzo.


Barrette frutta e cereali: ricetta per farle a casa

Comode da avere in borsa durante le trasferte, nutrienti ma sane e, soprattutto, buonissime. Le barrette frutta e cereali sono una golosità adatta a tutti, ma non è sempre facile trovarne di buone. Alcune sono troppo secche, altre includono ingredienti che non ci piacciono mentre altre ancora sono carissime. Ho pensato quindi di provare a realizzarle in casa secondo i miei gusti e necessità.

Secondo l'ayurveda, che seguo da un paio di anni ormai, devo mangiare pià cereali integrali, frutta secca ed essiccata. Ho cercato in rete un po' di metodi e ricette, fino a elaborarne una che soddisfasse salute e gusto.

barretta cereali

Ingredienti per 10/12 barrette: 200 g fiocchi di avena integrale, 100 g mandorle (ma anche noci), 80 g di frutta essiccata (bacche di goji, mirtilli, uvetta...), 2 cucchiai di semi di girasole, 2 cucchiai di semi di zucca, 5 cucchiai circa di miele di acacia.

Mescolare in una ciotola capiente i fiocchi, la frutta essiccata, le mandorle tritate grossolanamente e i semi. Aggiungere il miele e mescolare fino a ottenere un impasto il più omogeneo possibile. Se dovesse rimanere troppo asciutto, aggiungere un po' di miele. Riscaldare il forno a 160°C. Coprire una teglia con carta da forno precedentemente bagnata e stendere l'impasto di frutta e cereali, livellando bene con una spatola. Infornare per 15/20 minuti. Una volta trascorso il tempo, togliere dal forno e tagliare le barrette con un coltello affilato e bagnato. Attendere il completo raffreddamento prima di dividere le barrette. Conservare in frigo.

Queste barrette frutta e cereali sono ottime da abbinare a un tè bancha: fresco, dolce e leggermente erbaceo, non coprirà i sapori riuscendo, anzi, a esaltarli. Grazie a Camellia - Il tempo del tè di Torino per il suggerimento.


Il tempo del sambuco

È il tempo del sambuco. Uno di quei giorni illuminati da qualche fioco raggio di sole, ma profumato di fiori che fa pensare che tutto possa migliorare, che ci sia ancora speranza. Sono trascorsi giorni ritmati da lacrime, ma anche da sorrisi; da sguardi assenti, ma anche da lampi vivaci negli occhi; da amore incondizionato. Quando mi aspetta una lunga attesa tendo ad aguzzare i sensi: vedo cose che in un altro momento non avrei notato, ascolto discorsi che normalmente avrei ignorato, respiro odori per imprimere nella mente quenti momenti.

sambuco

Se dovessi scegliere un colore per queste ore senza tempo, penserei al bianco che per me significa tristezza, ma anche serenità. Bianco come le lenzuola di cotone spesso che piacciono a te, bianco come il cielo coperto da uno strato sottile di nuvole, bianco come i fiori di sambuco. Nessun suono, invece, mi ricorderà i giorni impazienti. Solo il silenzio che mancava e che avrei voluto per te, per me. Oppure sceglierei la tua voce, che è sempre bella da ascoltare.

Ora è tutto nuovo e questi fiori, che simboleggiano la compassione, hanno contribuito a rendere i ricordi meno amari.

I fiori di sambuco - dalle prorpietà diuretiche, antibatteriche e antinfluenzali - si mangiano freschi fritti in pastella o si usano secchi per le tisane, tra gli altri usi, ma io li ho utilizzati per preparare il vemouth. Ho messo in infusione nel vino bianco fermo cannella, anice stellato, china in corteccia, foglie di arquebuse, bacche di cardamomo e fiori di sambuco essiccati. Dopo due settimane di riposo, ho filtrato e dolcificato con zucchero Muscovado. Non chiedetemi le dosi, sono uno spirito libero e non sopporto né di omologarmi alle ricette altrui né di creare qualcosa che non sia unico e irripetibile.

 


Merca sarda: sapori di un'isola fiera

 

Ci sono piatti che raccontano storie di tempi lontani, quando la vita era più complicata e ci si doveva ingegnare. anche per conservare i cibi. La merca sarda ne è un esempio e rappresenta la fierezza di un'isola dove le tradizioni sono una cosa seria.

Origini della merca sarda

Tipica della zona di Cabras, a poca distanza da Oristano, nota per lo stagno d'acqua dolce più grande della Sardegna, dove si possono ammirare anche dei favolosi fenicotteri rosa. Qui, un tempo, si andava a pesca con barche dalla forma appuntita realizzate con erbe palustri secondo una tecnica risalente ai Fenici.

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Sempre ai Fenici risale la merca sarda: ricetta a base di muggini avvolti nella salicornia e lasciati maturare in salamoia. Un metodo di conservazione tanto antico quanto efficace. Con lo stesso nome, si identifica anche una preparazione a base di formaggio. Merca, infatti, indica semplicemente un alimento conservato sotto sale.

Ancora oggi la preparazione a base di pesce è facilmente rintracciabile nell'oristano ed è tipica della Festa di San Salvatore, che si svolge la prima domenica di settembre.

 

Festa di San Salvatore

Ogni anno si svolge questo evento, in ricordo di un episodio avvenuto nel 1506 quando un gruppo di pescatori di Cabras riuscì a difendere dai pirati la statua di San Salvatore, trasportandola di corsa lontano dal villaggio. Si narra che i Mori, vedendo in lontananza il polverone sollevato durante la fuga, pensarono all'attacco di un esercito da cui fuggirono immediatamente.

Da allora, la corsa degli scalzi è un appuntamento annuale irrinunciabile, che rappresenta un momento di coesione e tradizione. La festa, però, non si svolge solo la domenica ma inizia la settimana precedente quando i canti delle donne in processione arrivano fino alla chiesa del villaggio di San Salvatore, che rappresenta il punto di unione tra il culto pagano e quello cristiano. In quel momento il paese, già stato set di un film western, si anima e iniziano i preparativi per la festa.
Il culmine delle celebrazioni si ha con la corsa degli scalzi, che percorrono i nove chilometri che separano il villaggio del Santo da Cabras.

Consigli di viaggio

Quando andare: A mio parere, la Sardegna è splendida fuori stagione. A primavera il profumo dei fiori riempie l'aria, mentre a fine estate si può godere di una piacevole temperatura del mare, senza l'affollamento delle spiagge. Inoltre a inizio settembre si può assistere alla Festa di San Salvatore.

Prenotazione traghetti: Fuori stagione è più facile trovare tariffe convenienti per i traghetti, che potete verificare su questo sito www.traghetti-sardegna.it

Dove dormire: Conoscete gli alberghi diffusi? A Oristano ce n'è uno molto carino con SPA e accoglienza quattrozampe. Aquae Sinis

 


Cucina turca: in nome del kebab

La Turchia è un Paese enorme e, in quanto tale, presenta aree geografiche molto diverse tra loro. Dal punto di vista gastronomico, però, le varie preparazioni simili su tutto il territorio perché si tratta di cucina dalle antiche tradizioni, risalenti all'occupazione dei Selgiuchidi, prima, e degli Ottomani dopo. Quella turca è considerata tra le migliori cucine al mondo e solo i vegetariani potranno avere qualche difficoltà nell'apprezzarla, anche se negli ultimi anni viene posta maggiore attenzione anche verso chi non mangia carne e pesce. Il maiale ovviamente è bandito dalla tavola, essendo i turchi di religione musulmana. Le spezie vengono molto utilizzate e alcune, come il sumac, sono poco conosciute oltre confine. Alimenti presenti in ogni pasto sono il riso e il pane, utilizzati per accompagnare i piatti principali. Il pane, nelle zone rurali, viene ancora cotto nel comunitario tandır - il tradizionale forno a legna - che ogni villaggio possiede.
La cucina turca offre grandi possibilità: si va dai grandi ristoranti ai piccoli banchetti per strada, dove degustare il rinomato street food. Inutile dire che sono da evitare i locali per turisti, anche se in realtà mangiare male nel Paese dei sultani risulta davvero difficile.

La cucina turca e il kebab

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Il termine kebab (kebap in turco) indica i piatti che, in un modo o nell'altro, contengono carne. Le preparazioni , sempre accompagnate da verdura cruda o cotta, differiscono molto tra loro. Mentre in Italia si trova quasi esclusivamente il classico Döner - lo spiedo verticale - in città come Marsiglia è possibile trovarne anche altri tipi.

Nell'interessante infografica di Alpitour sulle vacanze nel Mediterraneo all’insegna del gusto, infatti, è annoverato anche questo piatto, mentre di seguito vi racconto nello specifico cosa la Turchia ha da offrire a tavola.

Tandir kebab: Carne di agnello cotta nel forno di terracotta.
Kebabı Patlıcan - Kebab di melanzana: Le melanzane utilizzate sono della varietà Kemer, tipica turca. Vengono cotte alla brace su spiedi alternandole a grossi pezzi di carne.
Arap kebabı (Arab Kebab): Carne non macinata ma tritata al coltello stufata con cipolle e pomodori. Il tutto condito con abbondante prezzemolo.
Iskender kebab: Carne arrosto del döner kebab servita su un letto di pane soffice simile alla nostra focaccia, salsa di pomodoro e abbondante yogurt. (È uno dei miei preferiti)
Adana kebab: Carne tritata condita con cipolle e spezie, cotta alla brace su grossi spiedi piatti simili a spade.
Döner kebab: Il più conosciuto. Grosso rotolo composto da strati di carne di manzo o pollo cotto verticalmente, in modo che il grasso, colando, la mantenga morbida.
Şiş kebab: Spiedini di carne a pezzi, Può essere di manzo o pollo (tavuk).
Köfte: Polpette, cotte in genere alla brace, realizzate con carne abbastanza grassa, cipolla e molte spezie non piccanti.
Cig köfte: Polpette di carne cruda, servite nel piatto o come panino. Esistono dei locali specializzati nel loro servizio.
Kokoreç: Grosso spiedo prodotto con gli intestini dell’agnello arrostiti, che un tempo veniva venduto su carrelli spinti a pedali per la strada. Oggi invece si trovano tipici ristoranti specializzati, che sono aperti tutta la notte.

Altri piatti

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Gözleme: Una specie di piadina realizzata con una pasta tirata a mano su grandi taglieri di legno e riempita con ingredienti vari come spinaci, feta, carne, uova, formaggio, patate e cotta su una piastra di metallo rovente. Il nome deriva dalla parola turca göz che significa occhio.
Pide: Non è una copia della pizza italiana, ma un un piatto autoctono e tradizionale. La pasta è lievitata, ma addizionata di yogurt e uova. Condita con carne, formaggio e verdure, viene cotta nel forno a legna. Ha la forma tipica a canoa e ne esiste una versione aperta, che assomiglia a un occhio, e una chiusa tipo calzone. Viene servita a piccoli tranci, da mangiare con le mani.
Mantı: Ricordano nella forma i ravioli, ma vengono riempiti con carne macinata, cipolle e prezzemolo e serviti con una salsa a base di yogurt e burro fuso.

Meze: Una ricca selezione di antipasti a base, più che altro, di verdura e legumi.

Per conoscere profondamente un Paese è necessario sperimentarne anche la gastronomia e conoscere la cucina turca è utile anche per entrare in sintonia con un popolo profondamente generoso e ospitale.

La Turchia ti incuriosisce? Magari ti interessa leggere questo libro. ;-)


Grasse: inebriante borgo provenzale

Il forte profumo nell'aria, indica che si è a poca distanza da Grasse. Le fragranze percepite sono inequivocabili; rosa, fresia e cedro sono un esempio, ma è il gelsomino quello che spicca più di tutti. Famoso sopratutto perché fa parte delle ottanta essenze che compongono il celebre Chanel N°5, è il fiore più delicato da lavorare perché facilmente deteriorabile. Per imparare qualcosa di più sul mondo dei profumi si può visitare il Musée International de la Parfumerie oppure scegliere una delle tre maison storiche, come ho fatto io. Tra Molinard, Galinard e Fragonard, ho scelto quest'ultima perché era un po' il motivo principale della mia fermata sulla strada per Marsiglia.

 

Profumi Fragonard a Grasse

 

La maison fu fondata nel 1926 da Eugene Fuchs, che chiamò l'azienda come il conterraneo pittore francese Jean-Honore Fragonard. Le fragranze sono tutte prodotte in azienda che, oggi, è guidata da Agnès, Françoise e Anne, quarta generazione della famiglia fondatrice. Ogni anno vengono selezionate nuove essenze per arricchire la collezione dei profumi e la breve visita gratuita vi farà immergere in un mondo fatto di alambicchi ed essiccatori, che non avreste immaginato.

Al primo piano della fabbrica storica, invece, si può ammirare la più ricca collezione di flaconi, documenti e cofanetti legati al mondo del profumo. Gli oggetti arrivano da tutto il mondo, frutto di numerosi viaggi. All'ingresso, naturalmente, si viene accolti da una fontana realizzata dalla scultrice Beatrice Guichard, che profuma di May Rose, la tipica rosa di Grasse.

Nello splendido negozio, dopo essermi lasciata guidare nella conoscenza della produzione Fragonard, ho scelto per me un'acqua di profumo al sandalo e cardamomo. Il richiamo delle spezie e dell'Asia è sempre irresistibile.

 

Il borgo

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Grasse è piccola e deliziosa. Arrocata su una collina, mantiene la sua struttura medievale ed è piacevole passeggiare per le sue vie, dominate dai balconi con le ringhiere a merletto, animate dalle brasserie e dai brocante. Il profumo di croissant si mescola a quello dei fiori e non assaggiare qualcosa è impossibile. A cena, la scelta tra i tanti bistro è semplice e non ci si può privare di un calice di vino rosè provenzale da accompagare a del buon foie gras.

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Marsiglia e la cucina etnica: a ogni pasto un Paese diverso

Ho fatto una breve fuga a Marsiglia durante il week end di Pasqua in cerca di bellezza, relax mentale e aria di mare. Oltre a questo, ho trovato anche tanta buona cucina, ma tutta proveniente da lontano. Essendo una delle città più multietniche di Francia, ho deciso di mangiare a ogni pasto in un Paese diverso per onorare il suo spirito accogliente. Già Dumas definiva Marsiglia il punto d'incontro di tutto il mondo e non posso che dargli ragione.

 

Un po' di storia

 

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La città è storicamente importante grazie al suo porto, il primo della nazione, che ancora oggi rappresenta il cuore pulsante del centro urbano. L'architettura dei palazzi antichi ne fa una piccola Parigi, mentre le case color pastello del quartiere Le Panier la rendono tipicamente provenzale. Il nucleo più antico si trovava sull’altura a nord ovest del vecchio porto estendendosi poi sulle colline intorno, con pianta irregolare. Fu distrutta dai tedeschi nel 1943, ma è diventata comunque il porto maggiore del Mediterraneo. Si gira facilmente e piacevolmente a piedi, ma per vedere il tramonto più bello dovete raggiungere la collina su cui si erge Notre Dame de la Garde salendo 162 scalini.

 

Dove mangiare a Marsiglia

 

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Premetto che quando viaggio difficilmente mi informo prima sui ristoranti da scegliere, mi piace fidarmi del mio istinto. Anche in questo caso ho scelto io in base al desiderio momentaneo e non sono rimasta delusa.

Cucina turca: Sul Cours Belsunce è pieno di piccoli locali dove assaggiare le specialità turche. Non parlo del classico Döner kebab, ma di köfte, adana, Şiş kebab e il mio preferito: l'Iskender kebab, a base di carne arrostita, burro, pomodoro e yogurt. Tra i tanti, ho scelto il ParIstanbul e ne è valsa la pena!

Cucina cambogiana: Profumata e delicata al tempo stesso, la cucina khmer è un patrimonio da valorizzare. Un pasto cambogiano prevede quasi sempre una zuppa e tra le più tipiche ci sono la samla machou banle, a base di pesce, la samla chapek, di maiale allo zenzero, e la samla machou bangkang, di gamberetti. Da provare anche il tradizionale curry, più delicato di quello indiano e meno piccante del thailandese. Il ristorante Apsara si trova al 151 di Rue Sainte (sul percorso per andare a Notre Dame della Garde) ed è chiuso la domenica.

Cucina giapponese: Nel cuore del quartiere Le Panier c'è un piccolo e colorato ristorante giapponese dove, a pranzo, preparano un ottimo ramen. Gestito solo da donne, sia francesi che giapponesi, è piccolo ma molto accogliente. Da bere c'è scelta tra i tradizionali tè, ma anche sake e shōchū. Il Tako San si trova in Rue du Petit Puits, 36.

Cucina marocchina e francese: Sempre a Le Panier c'è un locale davvero speciale: un po' negozio di abbigliamento, un po' concept store e un po' ristorante. Semplice ed elegante, propone in vendita oggetti e tessuti realizzati in Marocco e abiti chic. Da mangiare pochi piatti: formaggi, salumi, insalate ma anche una saporita tajine d'agnello e lenticchie. Il caffè, tra l'altro, qui è davvero ottimo. Si chiama Awash e lo trovate in Rue De Lorette 54-56.