Zongzi: il fagottino dell'amicizia

Arrivarono quasi contemporaneamente all'appuntamento e presero posto al tavolo prenotato appositamente all'aperto. Era un giardino interno, riparato dalla strada trafficata, e ospitava pochi tavolini in ferro battuto apparecchiati in maniera semplice, ma elegante. Il mosaico blu aveva fatto optare per un'apparecchiatura senza tovaglia: solo piatti asimmetrici di ceramica, bastoncini di legno, una forchetta argentata dallo stile un po' retrò e i bicchieri di vetro trasparente. A fare ombra in quella giornata di inizio primavera, c'era un pergolato su cui si erano arrampicate 3 piante di gelsomino non ancora fiorite.

Non si vedevano da qualche settimana e le cose da dirsi erano tante. Mentre versava il tè verde (un gyokuro, per la precisione) nelle piccole ciotole color lavanda, Clelia sorrideva come solo alla sua età si può fare, ma gli occhi rivelavano quella malinconia che aveva colpito Agata fin dal primo incontro. Quell'espressione un po' triste lasciava trasparire ciò che avrebbe legato le ragazze: il dolore. Una sofferenza di lunga data, per una, e arrivata all'improvviso, per l'altra, che entrambe stavano cercando di trasformare in bellezza.

Impresa difficile? Forse sì, ma non impossibile. È dalle ferite che si ricevono le migliori lezioni dalla vita. Quelle ferite che possono trasformarsi a volte in lacrime ma, con lo scorrere del tempo, anche in sorrisi. Clelia ed Agata si sono conosciute per caso ma, probabilmente, questo non sarà l'ultimo pranzo intorno a uno zongzi o a qualunque altra specialità asiatica. Perché intorno al cibo nascono le storie con i migliori auspici.

Zongzi: storia e ricetta

Si dice che gli zongzi abbiano una storia millenaria e che venissero preparati per adorare gli antenati e le divinità. Tuttavia, ciò che ha reso popolare questa preparazione fino ai giorni nostri è la storia legata alla Festa delle Barche Drago nata durante il periodo degli Stati Combattenti (475 - 221 aC) in onore del poeta patriottico, Qu Yuan.

Ormai è uno snack che si può gustare ogni volta che lo si desidera, ma per tradizione gli zongzi vengono preparati il quinto giorno del quinto mese lunare, in occasione della festa. Mangiare questi fagottini è però, per i cinesi, un atto simbolico per esprimere i loro omaggi a Qu Yuan.

Ingredienti: riso glutinoso, foglie di bambù e alcuni condimenti come datteri rossi, carne e ceci.
Preparazione: lavare il riso, quindi farlo bollire per 15-20 minuti o immergere il riso in acqua per 2 ore. Lavare le foglie e metterle a bagno in acqua bollente per 5 minuti, quindi raffreddarle in acqua. Piegare una o due foglie fino a formare un cono e riempire con il riso e gli altri ingredienti a scelta, precedentemente marinati in salsa di soia. Avvolgere il tutto e legare il fagottino con una corda.
Immergere lo Zongzi in una pentola con acqua bollente e lasciare bollire per 2-3 ore. Far raffreddare e servire.

Del quadrato si può fare un cerchio?
Strade lontane si possono incrociare?
Vivo è il rimpianto per la via smarrita
nell’incerto cammino del ritorno.
A ritroso il mio carro si volge.
Confusa tra gli errori era la strada.

Qu Yuan

 


Un nuovo inizio in Vietnam

 

Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile, sempre”. Con tutte le difficoltà nel mettere in pratica questo principio, sono d'accordo nel diffondere l'idea che la gentilezza sia un'arma molto più potente della rabbia, della vendetta e dell'aggressività.

Prima di partire per il Vietnam ho cercato libri che potessero farmi immergere nell'atmosfera ancor prima di salire sull'aereo, eppure non ho trovato altro che guerra. A parte L'amante di Marguerite Duras (di cui sono particolarmente appassionata), non ci sono titoli che non richiamino bombardamenti, fuoco, fiamme e distruzione. Io, però, andavo in Vietnam sì per lavoro ma anche per ritrovare un po' di quella bellezza di cui ho dovuto privarmi negli ultimi mesi e non potevo credere di dovermi arrendere a quell'immagine triste, che mi restituiva la letteratura mondiale.

Mentre ero via avrei voluto avere l'energia per scrivere ogni giorno le mie impressioni come ha fatto il collega Leonardo Merlini nel suo Diario Vietnamita (leggete i suoi dispacci, se vi va, per un quadro realistico, ironico e colto della situazione), ma ho sempre bisogno di tempo per lasciar sedimentare le sensazioni come sabbia sul fondo del mare.

Ricordo le mani della massaggiatrice sulla mia pelle accaldata e il mare in sottofondo, mentre lasciavo andare ogni tensione. Ricordo la musica ad alto volume nello skybar più alla moda di Saigon e il mio corpo che si muoveva anche grazie all'effetto del Mojito. Sento ancora la carezza dell'acqua calda del mare mentre, faccia in giù, osservo un grigio giardino di coralli e la schiena si arroventa sotto i raggi del sole tropicale. E poi il cibo: il pesce che in un attimo passa dal respirare al piatto, l'onnipresente coriandolo (che o si odia o si ama), gli involtini di fogli di riso e la frutta succosa. Ricordo le strade affollate di motorini, la pace delle spiagge di Phú Quốc, l'aroma di pepe (ottimo anche nei cocktail), le acque torbide e piene di fascino del Mekong.

Ma ricordo anche la guerra, quella raccontata nel museo di Saigon da cui si esce sofferenti e increduli. Un racconto schietto fatto soprattutto di immagini, che fa comprendere la durezza di carattere dei vietnamiti: una risolutezza, che ne ha fatto un popolo libero. In Vietnam la guerra è finita, ma si conservano le cicatrici e si evidenziano, come fanno i giapponesi con le ceramiche rotte nella tecnica kintsugi: un vaso rotto non si butta ma se ne evidenziano le crepe con una pasta dorata per rappresentare l’arte di abbracciare il danno, di non vergognarsi delle ferite.

Così farò io: non mi vergognerò delle ferite perché mi hanno resa unica e, in qualche modo, preziosa.

Per leggere il mio racconto su Phu Quoc CLICCA QUI.

 


Cose che non dovresti mai dire a chi soffre

Una ricerca ha dimostrato che il dolore fisico, e immagino anche emotivo, sia alleviato se si viene tenuti per mano da una persona amata.

Una semplice stretta di mano può aiutare a sopportare qualcosa di grande, che toglie il respiro e la forza anche alla persona più equilibrata.

Eppure, quando ci si ritrova di fronte a qualcuno che soffre di un dolore profondo, difficilmente si sa come comportarsi. C'è chi ha paura di disturbare e sta alla larga (non capendo il senso di abbandono del sofferente), c'è chi tenta un approccio con un sms, c'è chi si precipita anche solo per darti un abbraccio. Non c'è un modo giusto per aiutare chi soffre, ma credo però che ce ne siano di totalmente sbagliati.

Non ho mai pensato che il mio dolore fosse più forte di quello di altri, anzi. Durante le tre settimane di coma di papà mi sono ripetuta a mo' di mantra che soffre molto di più chi ha un genitore con l'Alzheimer o chi lo ha perso in giovane età. Mio papà aveva 85 anni, ha goduto di una vita felice, piena di soddisfazioni e senza problemi di salute. Ma quando è arrivato il suo momento, nonostante tutto, la pena per tutti noi è stata (e lo sarà a lungo) enorme.

Quando si soffre si diventa estremamente fragili e poco tolleranti: capita anche a chi, come me, ha un carattere notoriamente forte e apparentemente aggressivo. Tutto fa piangere e appesantisce una situazione già precaria. Perciò, ci va delicatezza nei modi e nelle parole.

Sto scrivendo queste righe come memento anche per me che, durante i miei 44 anni, ho sicuramente trattato in maniera sbagliata qualcuno; oggi me ne dispiaccio, perché ho constatato sulla mia pelle di quanto poche parole sbagliate possano ferire nel profondo.

Da quando ho portato papà al Pronto Soccorso a quando è mancato, tre settimane dopo, mi è stato detto di tutto. Ovviamente, c'è anche chi mi ha aiutato con naturalezza e sincerità (vi ringrazierò per sempre) ma non è per loro che ho scritto tutto questo.

Premesso che non provo rancore per nessuno, vorrei mettere un velo di ironia su frasi e comportamenti infelici, dettati forse dall'imbarazzo per la situazione. Se qualcuno dovesse riconoscersi in qualcosa, non si arrabbi ma faccia tesoro delle mie riflessioni. Se poi dovesse prendersela, pazienza, vuol dire che il nostro rapporto non era poi così profondo.

 

Le cose da non dire a chi soffre

 

Papà è in coma e stiamo aspettando che si spenga.

Ah sì, mio zio c'è rimasto 5 anni. [Quando si è già disperati, è meglio non prospettare un futuro ancora più funesto.]

Ok tuo papà è in quelle condizioni, ma tanto tu sei forte.” [E quindi la cosa non mi tange? Non ci penso e vado oltre? Faccio come se non fosse accaduto nulla? Chi è forte non soffre? Esattamente, cosa volevano dirmi?]

Aggiungere peso a un peso già enorme. [Non chiedete dettagli, se non arrivano spontaneamente; non parlate di “sfortuna”; non tirate fuori tutti gli argomenti noir che avete sentito al TG. All'inferno l'altra persona già c'è, mostrate piuttosto la via per uscirne vivo.]

Raccontare di tutte le disgrazie di cui sei a conoscenza. [È un argomento che poco tollero anche quando sto bene, ma quando uno soffre perché instillargli nella mente pensieri emotivamente logoranti?]

Rifiutarsi di partecipare a un funerale perché non se ne condividono la modalità. [Cerco sempre di rispettare gusti e decisioni altrui e poco capisco chi non lo fa con me. Abbiamo cremato papà, sparso le ceneri e fatto un rinfresco con parenti e amici per ricordarlo tra le risa e non tra le lacrime. C'è chi non è voluto venire: l'ho accettato, ma il dispiacere è stato tanto.]

Disperarti, costringendo me a consolare te. [Quando ho dovuto comunicare la dipartita di papà, spesso mi sono trovata a dover consolare gli altri. Da un lato è stata una cosa dolce perché ho capito da quanto affetto e apprezzamento fosse circondato, dall'altro... la rabbia per non poter cedere nemmeno in quel momento è montata velocemente. Ero pur sempre la figlia.]

Prospettare un futuro funesto per il genitore rimanente e per te che lo dovrai gestire. [Non mi piace ipotecare il futuro, e il 9 gennaio mi è stato dimostrato una volta di più che non possiamo sapere cosa ci riservi la vita da un'ora all'altra, e cerco di vivere il momento. Ma se senti la necessità di dirmi che non viaggerò più, che non troverò mai nessuno di affidabile per mamma, che lei mi farà vedere i sorci verdi etc etc, beh... non riuscirai mai a portarmi al tuo livello di depressione, nemmeno in questo momento.]

Dire di darsi una ripigliata. [Difficilmente mi abbatto, ma se capita è bello sapere di avere qualcuno a cui aggrapparmi. Certo che mi riprenderò, ma quando le forze me lo permetteranno, non quando ne avrai bisogno tu.]

Quando non sai cosa dire, non sottovalutare il potere del silenzio e di un abbraccio. 

Se solo l'empatia si potesse insegnare (anche ad alcuni medici), il mondo sarebbe migliore. E invece...


Profumi di Sardegna: la primavera che vorrei

 

Ci sono momenti della vita che necessitano di una pausa. Ci vuole cura per aggiustare qualcosa di rotto ed è necessario molto tempo per considerare guarita una cicatrice. Un lasso di tempo che può sembrare lunghissimo, soprattutto se si resta chiusi nel proprio, piccolo mondo, senza possibilità di prendere respiri profondi, assorbendo l'energia positiva che solo i profumi sanno dare. La mia primavera me la immagino piena di aromi in grado di curare le mie ferite come un morbido balsamo su una ferita.

Se penso a un luogo ricco di profumi, mi viene subito in mente l'India ma il perenne odore delle spezie non è quel che cerco. È il richiamo olfattivo del mare, che riesce a risvegliarmi dal torpore più profondo, insieme alle delicate fragranze di macchia mediterranea che mi ricordano soprattutto un luogo, la Sardegna bella da visitare durante tutto l'arco dell'anno.

Tre essenze di questa splendida isola mi riconnettono con me stessa e voglio raccontarvi perché.

 

Mirto: la pianta di Venere

Un arbusto sacro a Venere per averle dato riparo appena nata dalla schiuma del mare. Le sue proprietà balsamiche e antinfiammatorie sono note a molti, ma è l'omonimo liquore sardo che viene subito in mente quando si nomina il mirto. Questa pianta è legata alla Sardegna attraverso le tradizioni e la quotidianità. In autunno, infatti, le sue bacche si trovano facilmente nei mercati, pronte per essere messe in infusione.

 

Lavanda: relax assicurato

Ph obiettivosardegna.net

L'olio essenziale per eccellenza se ci si vuole rilassare. Ma è anche decontratturante e utilissimo per alleviare il prurito delle punture di zanzara. I Romani attribuirono alla pianta il nome che conosciamo oggi: lavanda deriva dal verbo lavare. Plinio il Vecchio, inoltre, la descriveva come una delle erbe curative più utilizzate dell'epoca, oltre a raccontarne le sue proprietà rinfrescanti e profumanti.

Ma se quando si nomina la lavanda pensi alla Provenza, dovrai ricrederti. Basta andare nel Sinis, territorio che include Cabras, Riola, Nurachi, Baratili, San Vero Milis e Tramatza, per immergersi negli splendidi campi viola e lasciarsi avvolgere dal suo profumo terapeutico.

"Il Sinis, da qualsiasi parte lo leggi o l’osservi, rimane sempre unico e misterioso, capace di stupirti in ogni suo aspetto."

 

Elicriso: oro di Sardegna

Ph lifegate.it

Il termine elicriso deriva dal greco helios (sole) e crysos (oro) e si riferisce alla forma e al colore dei fiori, che splendono illuminati dal sole. Antinfiammatorio e analgesico, è famoso soprattutto come porta fortuna. Si dice infatti "di fortuna resti intriso chi si adorna di elicriso". In Sardegna l'elicriso è conosciuto con nomi differenti in base alla zona; i più comuni sono: S’erba de Santa Maria, Allu e Fogu, Bruschiadinu, Abruschiadinu, Uscradinu, Buredda e Archimissa.

Sull'isola si apprezza il suo profumo fin dalla notte dei tempi. Si racconta che il pastore tornava dalla campagna impregnato di quell'essenza, diventando così il profumo del "buon ritorno", che ricorda una figura forte, stanca per il lavoro e orgogliosa: caratteristiche del popolo sardo.

Un tempo per favorire gli incontri matrimoniali si preparavano mazzetti di elicriso, che venivano poi bruciati la notte di San Giovanni insieme alle altre piante della tradizione come l'iperico.

A me questa pianta ricorda anche la Turchia dove, in una primavera di qualche anno fa, una persona speciale mi regalò una coroncina di elicriso, che conservo ancora appesa alla porta di casa.

 

Info di viaggio

 

Come andare: comodamente in traghetto per esplorare la Sardegna in autonomia (e acquistare tutte le cose buone descritte sopra). Qui trovi info >  partenze e arrivi dal porto di Arbatax

Dove dormire: un po' per caso ho trovato un posto davvero speciale, dove le essenze servono a creare un ambiente magico e di benessere. È l'Essenza Oasi Sensoriale, un luogo dove fare percorsi sensoriali e dormire in una camera da scegliere in base alle proprie necessità.

 




Guida informativa realizzata da TraghettiPer Sardegna


Guida di Torino: dove dormire e dove mangiare, dalla colazione alla cena

*** Aggiornato a marzo 2023***

Torino sta iniziando ad avere una nuova vita, fatta di turismo, arte, musica, cultura e ottimo cibo. E sempre più spesso mi scrivono persone che, avendo organizzato un week end in città, mi chiedono consigli su dove dormire e mangiare. Ormai non si parte più alla scoperta di un luogo, ma si preferisce solcare le orme di altri per evitare il rischio di trovarsi male.

Anche se io rimango tra quelli che preferiscono le sorprese, anche in viaggio, ho pensato di scrivere questa breve guida (che aggiornerò con il passare del tempo) per aiutare chi ha deciso di conoscere la mia bella Torino, che da una piccola Parigi si sta trasformando sempre di più in una moderna NYC o in una giovane Rotterdam.

Dove fare colazione

Zucca: Un must, soprattutto se a colazione si preferisce un tramezzino a un croissant, che comunque non manca. Per i torinesi è un luogo della tradizione, anche se rinnovato da qualche tempo in chiave totalmente moderna, per i turisti è una tappa obbligata per conoscere la storia gastronomica della città. Indirizzo: Via Antonio Gramsci, 10

Gastropasticceria Scaiola: Un locale storico a gestione famigliare, dove coccolarsi con dolci d'autore ma anche tante golosità salate. Qui si fa colazione, ma anche pranzo e si può attingere dal banco gastronomia per un take away d'autore. Via Fratelli Carle, 46

Dove pranzare

OGR - Snodo: Tra il bistrò e il ristorante, scelgo il social table, dove il cibo è semplice ma ottimo. Ottimi anche i vini serviti a calice. Il servizio, a volte, può essere lento... ma se si è in vacanza si può pranzare senza alcuna fretta, godendosi l'ambiente splendidamente restaurato e l'atmosfera internazionale. Indirizzo: Corso Castelfidardo, 22 | t 011 0243771

Chiodi Latini New Food: Una cucina innovativa, che mette al centro tutto ciò che è vegetale, trasformando un semplice spinacio in un'esperienza sensoriale unica. Non viene servito alcun alimento di derivazione animale, ma non se ne sente minimamente la mancanza. A pranzo vengono proposti 4 piccoli menù degustazione da assaporare con calma. Non abbiate timore di chiedere delucidazioni su ciò che avete nel piatto: saranno tutti molto felici di raccontarvene i retroscena. Indirizzo: Via Bertola, 20B | t 011 026 0053

Pescheria Gallina: L'ideale durante la visita di Porta Palazzo, basta arrivare presto per assicurarsi un posto a sedere.  Istituzione torinese per quanto riguarda il pesce fresco di qualità, lo è diventato anche per chi il pesce buono non lo vuole cucinare ma gustare già preparato. Funziona così: si va alla cassa della pescheria, si paga (15 euro compresi di piatto, vino, acqua e focaccia fatta in casa), sulla lavagnetta si sceglie la portata tra le proposte del giorno e ci si accomoda. Ottimi anche i panini take away, che mi ricordano quelli tipici turchi da gustare in riva al Bosforo a Istanbul. Indirizzo: Piazza della Repubblica, 14b | t 011 5213424

Ranzini: Altra istituzione torinese è questa enoteca a pochi passi dalle Porte Palatine. Qui si mangiano i tipici antipasti piemontesi, serviti nel piatto o come panino. Lingua al verde, vitello tonnato, tomini e acciughe sono solo un esempio. Per un aperitivo veloce, al banco servono bicchiere di vino e uova sode. Indirizzo: Via Porta Palatina, 9/g

Da Mauro: una trattoria aperta nel 1964, che è rimasta com'era. La cucina, a metà tra Piemonte e Toscana, si concentra sulla qualità e non guarda all'apparenza. Non lasciarti ingannare dall'impiattamento per niente instagrammabile o dall'arredamento vintage: il cibo e i prezzi sono quelli che ci si aspetta da una trattoria autentica. Indirizzo: Via Maria Vittoria, 11 | 0118170604 ma non telefonare, tanto non accettano prenotazioni

Dove fare merenda

Camellia: Se vi piace il tè, è qui che dovete venire. Il piccolo locale, elegante e in stile giapponese, offre la possibilità di sedersi a degustare un'ottima tazza di tè, da scegliere su un ricco menù e con il consiglio dei preparati proprietari. In accompagnamento, torte e biscotti artigianali. Le pregiate foglie si possono anche acquistare, insieme a tazze, teiere e tutto ciò che è necessario per preparare il tè nella maniera corretta. La vasta scelta accontenta tutti, sia chi come me ama il raro tè bianco, sia chi preferisce gusti più consueti. Indirizzo: Via Catania, 24

Caffè Al Bicerin: Non si può visitare Torino senza fare una tappa qui per assaggiare il vero e unico bicerin, a base di caffè, cioccolata e crema di latte. Il locale è piccolo e, soprattutto nel week end, spesso è necessario aspettare a lungo prima di riuscire a entrare, ma l'attesa verrà ripagata da una vera delizia per il palato. Ottimo anche lo zabaione. Indirizzo: Piazza della Consolata, 5

Dove fare aperitivo

BER Enoteca Barbera e Rubatà: Poco lontana da Porta Susa, è un'ottima scelta nel caso ci si voglia deliziare con un buon bicchiere di vino accompagnato da qualche golosità a cavallo tra Piemonte e Sardegna. Un aperitivo che può farsi tanto ricco da sembrare una cena. Indirizzo: Via Gropello, 21

Barz8: Chi viene qui lo fa perché ama i cocktail, di cui sono maestri. Alchimie che vengono ogni volta ideate per il cliente, in base ai suoi gusti e desideri. Indirizzo: Corso Moncalieri, 5

Casa Mago: Cocktail e tapas firmati Marcello Trentini. /Corso San Maurizio, 61B | t 0118126808)

Dove cenare

Les Petites Madeleines: È il ristorante del Turin Palace Hotel, un angolo di bellezza e gentilezza dove provare la cucina elegante di Giuseppe Lisciotto, nata dalla sperimentazione ma che si concentra sul concetto di semplicità, che si riflette nella scelta degli ingredienti e nei sapori netti e freschi. In estate, poi, è possibile cenare sulla splendida e panoramica terrazza. (Via Paolo Sacchi, 8 | t  0110825321)

Scannabue: Un locale dove non solo si mangia come re (soprattutto cucina piemontese) ma si sta bene. In estate, bello cenare nel dehors affacciato sull'elegante piazzetta. (Largo Saluzzo, 25h | t 011 6696693)

Luogo Divino: Remo Girardi - chef di Luogo Divino - non smette di far viaggiare i suoi commensali. Anche grazie alla sua bella brigata multietnica, accompagna in un percorso alla scoperta delle culture del mondo. I piatti proposti traggono ispirazione da spezie, luoghi lontani e persone incontrate: qui la contaminazione è un valore da condividere. (Via San Massimo, 13 | t 01119323530)

La Madia: È un ristorante, elegante e curato nei minimi dettagli. La chef alla guida è Elisa Hoti, una dolce ma volitiva donna di origini albanesi. Coltiva la passione per la cucina fin da quando era bambina e, dopo quindici anni di formazione e gavetta, nel 2019 ha rilevato La Madia, già locale piemontese ai piedi della collina. La proposta attuale è un mix di tradizione e contemporaneità. (Corso Quintino Sella, 85a | t 0118190028)

Dove dormire

Hotel dei Pittori: situato in una casa liberty, ha un fascino indiscusso. 12 camere, ognuna con le sue caratteristiche, dedicate a grandi pittori di epoca liberty. SI trova in Vanchiglia, uno dei quartieri storici di Torino, a pochi passi dalla Mole Antonelliana ed è una base perfetta per visitare la città. Indirizzo: Corso Regina Margherita, 57 | www.hoteldeipittori.it

Torino Mon Amour: è un delizioso B&B con stanze tematiche (la mia preferita è Madama Butterfly). Meno centrale, si trova nel quartiere Paradiso, ma vicino alla stazione della Metro.
Indirizzo: Via Thures, 26 | www.torinomonamour.it

Look To: un meraviglioso B&B affacciato su piazza Vittorio Veneto. Arredi eleganti, che prendono ispirazione dalle atmosfere sabaude ma anche da Paesi lontani, fiori freschi e location d'eccezione ne fanno un luogo dove dormire diventa una vera esperienza. Indirizzo: Piazza Vittorio Veneto, 8 | looktosuite.it

Hotel Dogana Vecchia: situato in una dimora d'epoca nel cuore cittadino, a pochi passi da Porta Palazzo, è perfetto per esplorare Torino a piedi. Mozart alloggiò proprio qui nel 1771 per presenziare alla rappresentazione dell'opera "Annibale in Torino" al Teatro Regio. Indirizzo: Via Corte d'Appello, 4 | www.hoteldoganavecchia.com


Finlandia: dove il vuoto si fa pienezza

Mi sono avvicinata alla Finlandia con sospetto. Ero quasi certa che non mi avrebbe conquistata: troppa natura e niente storia sono due ostacoli insormontabili per me. Mi immaginavo lunghe giornate fatte di passeggiate, un giro in barca e il necessario per portare a casa un buon reportage.

Eppure, l'aria limpida, la luce magica e i raggi del sole che impiegavano almeno due ore prima di scomparire dietro la linea dell'orizzonte mi hanno lasciata senza fiato. La Finlandia - in particolare la zona dell'arcipelago - costringe a riflettere, a pensare e, soprattutto, a svuotare la mente da pensieri e preconcetti. Solo nel vuoto, infatti, si può raggiungere una vera pienezza fatta di sensazioni, emozioni e meraviglia per le cose più semplici, che normalmente nemmeno noteremmo. Le spore dietro le felci, gli argentei licheni dalla consistenza ruvida, ma con un importante ruolo ambientale; e poi le persone, che nonostante la fama da orsi solitari, si sono dimostrate gentili e curiose.

 

 

E ancora, il silenzio, la mancanza di traffico, gli animali selvatici, i mirtilli da raccogliere in quantità lungo i sentieri, i riflessi sull'acqua calma (e per niente salata) del Mar Baltico, il sole caldo che si fonde con l'aria gelata, la nebbia che rende mistici i boschi.

La Finlandia è dove ci si diverte con poco, perché poco è quello che si ha a disposizione: un mercatino con una decina di bancarelle è motivo di ritrovo, festeggiamenti e allegria collettiva. Ai bambini, invece, basta correre intorno ad alcune balle di fieno per ridere a crepapelle.

La natura insegna a guardare oltre l'apparenza e a sentire più forte quello che abbiamo dentro. Un viaggio qui fa ritrovare il centro e ridimensiona la quotidianità.

La Finlandia, per me, è stata una scoperta che vorrei approfondire, andando più nord in cerca dell'Aurora Boreale e della neve. E anche dei licheni da assaggiare, che questa volta non ho avuto modo di trovare.

 

 

 


Paris je t'aime: storia di un amore arrivato all'improvviso

Paris je t'aime, recita la scritta di vernice rossa sul muro scrostato dall'umidità. Mi ricorda il film omonimo che racconta l'amore in tutte le sue declinazioni. Uno dei diciotto episodi, in particolare, mi ha colpita. In Quais de Seine si racconta dell'amore tra un parigino e una giovane musulmana, nato per caso sulle rive della Senna, dove ogni giorno si incrociano anime e sguardi, mentre le acque docili accarezzano la città.

Ma davvero Parigi si può amare incondizionatamente? Vecchi ricordi mi suggerivano il contrario: i palazzi austeri, i minacciosi gargoyle e i cieli plumbei avevano spinto Parigi in un angolo polveroso della mia memoria. Che se il sole vi si insinua si trasforma in un caleidoscopio di colori. Se ci si allontana per un attimo dalla Tour Eiffel e dagli Champs-Élysées si scopre un mondo variopinto fatto di arte, che tanto si scosta dalla sempre splendida Monna Lisa.

E poi ci sono i tetti. Ah, i tetti! Baudelaire diceva che, quando piove, i grigi tetti di Parigi si confondono con il cielo pesando come un coperchio sulla città. Ma proprio per i suoi tetti, così sinuosi e romantici, si cammina con il naso all'insù nelle giornate limpide, quando il sole li illumina e colora d'oro il cielo della sera. La magia di Parigi sta nel potere dell’immaginazione che nasce e nell’incantesimo che produce agli occhi, quando ci si fa guidare dalla frenesia di conoscerla.

C'è chi considera Parigi una vecchia brontolona e brizzolata, a cui piace rimbrottare gli ospiti meno colti, ma non è così. È luminosa e accogliente: Parigi sa farsi amare, se vuole. Solo chi la conosce a fondo, infatti, può apprezzare addirittura il profumo della metro, che sa di storia, di una Parigi che riemerge ogni volta che scendi nel suo ventre. È unico, immediato, acuto, pungente, ma allo stesso tempo avvolgente e caldo. Non è odore, è più una sensazione, che si mescola a quello del cioccolato, dei croissant e dei coquillages, una volta riemersi in strada.

Le domeniche parigine sono pervase dallo spirito bohémienne, dalla passione gourmet e dal piacere di una romantica camminata lungo la Senna, per divagare ogni tanto in cerca di nuovi amori.

La straordinaria varietà di forme e colori della flora del Jardins des Plantes, ad esempio, offre una scenografia adatta a una passeggiata, a un bacio o a una sosta per osservare i movimenti flessuosi dei praticanti di tai chi. Nato da un insieme di scienza e creatività, è l’unico giardino botanico della città e offre un viaggio nella storia evolutiva vegetale. Una piccola quiche da mangiare fredda e qualche macarons sono l'ideale per uno spuntino nel parco.

Continuando sulla Rive Gauche della Senna, è un attimo perdersi tra i grattacieli intorno alla Bibliothèque Nationale Francois Mitterand, che si moltiplica in mille riflessi, creando illusioni ottiche degne di Escher. Pochi anni fa, qui, c'era solo sabbia ma oggi c'è la Parigi che più conquista. Come Les Frigos, gli antichi frigoriferi cittadini. Prima custodirono merci deperibili e ospitarono locali commerciali poi, per rischiare la chiusura definitiva negli anni Novanta. Furono salvati dallo spirito combattivo dei parigini, che si opposero con forza riuscendo a farli diventare sede di oltre cento creativi. Tra murales variopinti - che raccontano storie, lanciano messaggi e, a volte, fanno sorridere – si fa musica, si dipinge, si cuce e si disegna. E forse si progetta anche un mondo migliore.

Seguendo il corso della Senna verso nord, e lasciando la Rive Gauche, si raggiunge quello che da lontano sembra un vascello variopinto. Avvolto com'è dalla natura del Bois de Boulogne, è difficilmente distinguibile fino a che non ci si ritrova a pochi metri di distanza. La Fondation Louis Vuitton è fatta di onde sinuose, che si riflettono nei tanti specchi d'acqua circostanti. Un insieme di linee e curve che abbracciano, disorientano e ispirano. Dalle sue terrazze, sovrastate da decine di vetri colorati, si avvista in lontananza La Defense. Oppure è Chicago? Dallo skyline non si può dire. So quello che stai pensando lettore: “va bene la modernità, ma la Parigi gotica e rinascimentale la vogliamo dimenticare?”. Naturalmente no, quella è la parte di Parigi che non cambierà mai. L'austerità intimorente di Notre-Dame, lo sfarzo di Versailles, l'eleganza del Grand Palais e l'arte classica del Louvre sono i pilastri su cui poggiano le basi e da cui hanno tratto ispirazione grandi artisti come Paul Cézanne, che a Montparnasse nel 1881 dipinse Les toits de Paris.

Parigi diede i natali anche a famosi funamboli come Philippe Petit che, prima di camminare tra le ormai scomparse Twin Towers di New York, passò tra le torri di Notre-Dame. Chissà se almeno quest'ultimo va mai a cercare idee o ad ammirare la raffinatezza delle ceramiche nella Grande Moschea, luogo di rara bellezza adiacente al Jardins del plantes, da cui abbiamo iniziato questo nostro viaggio, dove sedersi in contemplazione, in ascolto di sé mentre si sorseggia un bicchiere di tè caldo, che profuma di terre lontane, ma anche della nuova Parigi.


Sri Lanka: consigli per un viaggio perfetto

Ogni ritorno è felicità, ma anche nostalgia.

Nostalgia per le giornate senza orari, per le sere stellate, per la stanchezza dovuta al tanto camminare, per i sapori nuovi e la lentezza da vivere senza rimorsi.

Ma quando si torna da un Paese come lo Sri Lanka, a questa lista si aggiunge il desiderio di ascoltare altre storie, di scambiare sorrisi e respirare spiritualità sincera.

Lo Sri Lanka ha riaperto al turismo solo da tre anni, dopo gli anni di guerra civile finita sette anni fa. Si sta affacciando a questo settore con curiosità e fiducia, anche se mi piacerebbe che rimanesse esattamente così: selvaggio.

Nonostante questo, voglio condividere con voi le mie impressioni e alcuni consigli per organizzare un viaggio che si avvicini alla (mia) perfezione.

Cos'è per me il viaggio perfetto?

Un viaggio di scoperta, che includa soprattutto siti ricchi di storia in un Paese dove sia facile entrare in contatto con la gente grazie alla sua accoglienza. Solo così riesco a incamerare emozioni, ricordi e sensazioni che valgano la pena di essere raccontati.

Il mio itinerario in Sri Lanka

Il viaggio è stato organizzato nel dettaglio prima di partire, con tanto di prenotazioni alberghiere. Non è il mio modo abituale di viaggiare, ma in Sri Lanka, ad agosto, il rischio di rimanere senza hotel sembrava (almeno sulla carta) piuttosto alto, soprattutto perché viaggiavamo in quattro. Con gli hotel (prenotati tutti su Booking) è andato tutto bene a eccezione con quello di Kandy, che in fatto di rapporto qualità/prezzo lasciava molto a desiderare, ma soggiornare nei giorni dell'Esala Perahera (il festival buddista più importante) è un po' come andare a Venezia durante il carnevale.

Tre settimane di viaggio su questa rotta: Negombo, Kandy, Habarana (per visitare la rocca di Sigiriya, Dambulla, Plonnaruwa e il Buddha di Awkana), Trincomalee, Batticaloa, Kataragama, Galle, Negombo. In ogni località, scelta in maniera strategica, siamo rimasti qualche notte, in modo da non cambiare albergo troppo spesso e da non fare trasferimenti troppo lunghi.

Come ci siamo mossi

In principio abbiamo pensato di affittare un'auto e muoverci in autonomia, ma abbiamo scoperto presto che per guidare in Sri Lanka era necessario recarsi, con la propria patente italiana, negli uffici della motorizzazione di Colombo e sperare di avere in fretta il permesso per circolare. Abbiamo così desistito, non potendo rischiare di perdere troppo tempo nell'attesa, e deciso di affidarci a un tour operator locale per trovare un driver. Tra quelli contattati, abbiamo scelto Buddi Tours. Il proprietario si è rivelato gentile e affidabile, così come il driver che ci ha assegnato: ha subito capito a cosa fossimo interessati e si è reso molto disponibile in un paio di emergenze. Dovessi tornare in Sri Lanka, mi affiderei a Buddi anche per la prenotazione degli hotel: è in grado di fornire un'ampia (e selezionata) scelta; lui stesso gestisce, con la moglie, un delizioso ed economico b&b a Negombo, il Bee Nest.

Consigli vari

A Kandy per Esala Perahera: il festival è scenografico e coinvolgente, ma la situazione è delirante. Si può vedere la parata restando per strada in mezzo alla gente oppure acquistando i biglietti per i posti a sedere. Nel primo caso è da tenere in considerazione che i singalesi iniziano a prendere posto sui marciapiedi già alle 10 del mattino (la parata inizia alle 20) e sarà impossibile trovare un buon posto senza arrivare molte ore prima. Nel secondo caso, consiglio di non acquistare i biglietti in hotel o, comunque, senza aver visto di persona dove sono situate le sedie: tutti vi prometteranno un'ottima visuale, ma difficilmente la otterrete davvero se non avrete verificato di persona. I biglietti, in media, costano sui 50 euro a testa ma presso il Queen's Hotel - una delle postazioni migliori, proprio di fronte al tempio del dente di Buddha - salgono a 90.

Andare al mare: innanzitutto, bisogna sapere che per questioni climatiche bisogna scegliere la costa ovest durante il nostro inverno, e la costa est in estate. Proprio come in Thailandia, il vento e le forti correnti possono rovinare il vostro soggiorno al mare.

La costa est:

  • Le spiagge famose di Trincomalee sono Uppuveli e Nilaveli: scegliete la prima se volete un po' più di movimento (ma non aspettatevi Ibiza) e la seconda se vi piacciono le spiagge davvero deserte. Per godersi a pieno il relax, comunque, è meglio optare per un hotel che affacci direttamente sulla spiaggia.
  • Le spiagge di Batticaloa sono, invece, Passiudah e Kalkudah: entrambe si trovano a circa 30 chilometri dal centro abitato, quindi spendete qualche soldo in più e prenotate un albergo in spiaggia. Sono entrambe selvagge e molto tranquille. Lo Sri Lanka non è adatto a chi cerca vita notturna. ;-)
  • Arugam Bay, se vuoi fare surf e/o cerchi un'atmosfera freak.

 La costa ovest:

  • La zona di Dickwella e Mirissa è certamente la più bella di questa costa. Le insenature e le rocce rendono il litorale molto vario e attraente.
  • Galle: forse non adatta per il mare, ma la cittadina è davvero deliziosa e ricca di negozi originali.

Insetti: non ci sono problemi particolari, tranne a Kataragama, dove la pioggia fa uscire centinaia di migliaia di cimici nere e puzzolenti che si insinuano in ogni dove (anche addosso, visto che volano). Pare che la stagione peggiore sia tra dicembre e gennaio, ma non oso immaginare cosa possa essere dato quello che ho visto con i miei occhi ad agosto. Non sono pericolose, ma se siete insetto-fobici partite attrezzati con tuta da apicoltore!

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Ritorno in Sri Lanka, dove la felicità è di casa

Torna dove sei stata felice, mi disse qualcuno una volta. Ed è un consiglio che ho sempre cercato di seguire: appena posso faccio un salto in Turchia e la Thailandia è sempre nei miei pensieri quando programmo un nuovo viaggio.

Quest'anno torno in Sri Lanka, Paese che mi ha stregata per i sorrisi donati senza un perché, per i colori vivaci, per i sapori decisi ma ben equilibrati, per le foreste incontaminate, per il profumo di incenso, per i canti buddisti, per la generosità dimostrata in ogni situazione.

Lo Sri Lanka è dove la felicità è di casa, soprattutto la mia, ed è lì che voglio tornare per rigenerarmi e immagazzinare nuova linfa creativa. Tornerò con un compagno di viaggio speciale, Graziano Perotti, fotografo di fama internazionale di cui apprezzo soprattutto la capacità di entrare in contatto con l'anima delle persone. Lo scorso novembre, durante il nostro primo viaggio in terra singalese, eravamo ancora ancora in volo sopra l'Oceano che già avevamo deciso di tornare: avremmo voluto vedere molto di più.

Sarà un viaggio di arricchimento, che si svolgerà on the road (ma con autista, viste le difficoltà per affittare un'auto) per cercare di cogliere ogni attimo, di fermare ogni sguardo e di farci sorprendere dalla bellezza.

Voglio tornare dove sono stata davvero felice, per ricordarmi ancora una volta che senza peregrinazioni alla scoperta del mondo non solo sarei meno felice, ma soprattutto sarei molto più arida in quanto a sentimenti e incapace di provare le forti emozioni che, ogni giorno, accendono il mio fuoco interiore.

Buone vacanze a tutti ;-)

 

 


Il magico mondo dell'incenso: profumo e benessere da bruciare

La fiamma accende il carbone e una mano elegante fa cadere una polvere iridescente: stretta tra indice e pollice, viene lasciata andare lentamente e il fumo si alza leggero, inebriando la mente.

Sembra facile dire incenso. Tutti conoscono i bastoncini provenienti dall'India, io utilizzo quelli di Sai Baba per la qualità di preparazione, ma cosa sapete di resine e incenso in grani? Conoscevo poco anche io questo mondo, ma dopo aver partecipato a un laboratorio tenuto da Sabrina Grandoni, infermiera appassionata di essenze naturali, ho capito che bruciare incenso non è solo un rito ma uno strumento per vivere meglio.

Cos'è l'incenso

L'incenso è una gommoresina solidificata proveniente dalla secrezione di piante della famiglia delle Burseracee, che rappresenta una grande risorsa per i popoli che abitano le zone da cui proviene. È, infatti, un prodotto sostenibile che non necessita di abbattimento di alberi (come nel caso della produzione dell'olio essenziale di sandalo) ma della sola incisione della corteccia, fino alla fuoriuscita del lattice.

In particolare, in Etiopia nascono la Boswelia, con 7 specie diverse, da cui nasce l'incenso olibanum e la Commiphora, con 50 specie, da cui deriva la mirra.

Gli incensi si dividono tra quelli in grani (che sprigionano profumo naturalmente) e quelli in bastoncino, che però è necessario assicurarsi che siano composti solo da: bastoncino di bambù, oli essenziali puri e polveri di natura vegetale.

Proprietà dell'incenso naturale

Nella medicina tradizionale etiope le resine di Boswellia e di Commyphora vengono usate come antibatterico, espettorante, antisettico e, nelle zone più desertiche, vengono masticate per alleviare la sete. Utilissime come repellente naturale contro zanzare e insetti.

Come si utilizza la resina

Resine, legni ed erbe devono essere bruciati. Quindi il metodo più comune è quello del carboncino. In questo modo si ottiene un effetto più intenso.

Se non si vuole troppo fumo, si può utilizzare un diffusore per oli essenziali; l'importante è avere l'accortezza di mettere un foglio di carta di alluminio nel contenitore per distribuire meglio il calore e non sporcare la superficie.

Infine, sci si può avvalere di un diffusore con candeline su cui si pone una retina; in questo caso si otterrà una fumigazione delicata ma persistente.

La mia miscela

 

Alla fine della giornata di laboratorio ci è stato chiesto di creare la nostra miscela, in base a quello che avevamo appreso e annusato. Io ho scelto copale oro, copale bianco (resine fossili) e benzoino di Sumatra: tutti hanno proprietà utili a stimolare la creatività e liberare la mente. L'ho chiamata Luce.


Centre Pompidou e onirica bellezza a Metz

Metz non è come me la immaginavo. Pensavo fosse un paese francese come tanti, curata e tranquilla ma senza un'identità propria. Invece si è rivelata essere molto di più. Qui sorge il Centre Pompidou, la cui programmazione va di pari passo con quella parigina, e i suoi palazzi fanno camminare con il naso all'insù, per la bellezza dei tetti. Una piccola Parigi, dove immergersi nell'arte, camminare lungo i canali e godersi l'allegria che la contraddistingue.

Arte a Metz

Mi piace visitare le città da sola - come ho raccontato a GoEuro insieme ad altri viaggiatori solitari - perché mi permette di seguire i miei tempi, i miei desideri, senza preoccuparmi di niente. Cammino molto (a volte troppo) e cerco di perdermi un po', guidata solo dalla curiosità. Per arrivare al Centre Pompidou dal mio hotel, quindi, ho attraversato tutta la cittadina, passando per la stazione, dove mi son fermata a guardare i singolari binari, che hanno il marciapiede più alto da un lato e più basso dall'altro, per scaricare merci e passeggeri contemporaneamente.

Il Centre Pompidou è una sorta di nuvola bianca, con il tetto di legno. Ogni trave è un pezzo unico realizzato con macchine a controllo numerico, che hanno permesso la realizzazione delle tipiche curve multi-direzionali. Il progetto è conforme alla richiesta del comune di Metz in quanto a sostenibilità. Così, i materiali da costruzione così come la ventilazione, l'illuminazione e i sistemi di trattamento delle acque sono stati scelti seguendo criteri di efficienza energetica per realizzare un edificio a basso consumo.

Nell'atrio centrale interno spiccano enormi gocce pendenti dal soffitto fatte di tela e sabbia. Salendo, ci si immerge nella mostra - visitabile fino al 28 agosto - Jardin Infini. De Giverny à l'Amazonie: un viaggio onirico nel mondo botanico, esplorato dai grandi artisti, che nella natura hanno sempre trovato ispirazione e conforto. L'opera più bella? Quella di Ernesto Neto: una ricostruzione artistica del giardino botanico di Rio de Janeiro, che invita a essere toccata e annusata, per scoprire nuovi profumi e forme.

Qualcosa di buono

Se dopo la visita al centro d'arte ci si vuole si ha voglia di mangiare qualcosa, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Soprattutto se ci si addentra nel mercato alimentare coperto, aperto tutto il giorno, situato di fronte all'imponente cattedrale. Qui si trovano alimenti da portare via, ma c'è anche la possibilità di sedersi per assaggiare salumi e formaggi locali accompagnati da un calice di buon vino. Se poi cercate un po' di champagne, in una delle tante Cave à Champagne verrete accontentati.

Info: Ufficio del Turismo di Metz


Gin o jenever? A Schiedam, tra i mulini più alti d'Olanda, si produce qualcosa di buono

 

L'Olanda è famosa per la birra, ma può vantare di aver dato i natali a uno dei distillati più apprezzati al mondo: il gin. E una passeggiata a Schiedam, deliziosa cittadina poco distante da Rotterdam, può insegnare molto sul tema, a condizione che si riesca a restare sobri.

 

Gin o jenever: qual è la differenza?

 

Il jenever è stato l'antesignano del più celebre gin. Il gin olandese, infatti, fu inventato nel XVI secolo e, inizialmente, usato come medicinale.Viene invecchiato in recipienti di terracotta, che gli conferiscono un gusto più aromatico e corposo e si racconta che Sylvius Franciscus - farmacista, medico e professore dell’Università di Leiden - trovò un rimedio per i disturbi di stomaco e dei reni usando alcol di grano e ginepro. Le bacche, infatti, sono un potente diuretico e aiutano a combattere la gotta, causata dall'accumulo di acidi urici nel sangue dovuto a una dieta squilibrata ricca di carne, un tempo molto comune tra i ricchi in Olanda. Gli ottimi rapporti commerciali con l'Inghilterra, poi, favorirono la diffusione del jenever nel Regno Unito dove, con il tempo, subì alcune variazioni fino a diventare il classico London Dry: pungente e dal sapore deciso, adatto anche alla preparazione dei cocktail.

Il gin non è un distillato di ginepro: le bacche, infatti, servono come aromatizzante per infusione. In seguito l’alcol viene distillato nuovamente per ottenere un prodotto limpido e balsamico. Il jenever veniva chiamato Dutch Courage – coraggio olandese – tanto da essere stato adottato dalla truppe inglesi durante le operazioni belliche.

 

A Schiedam tra mulini e speakeasy

 

 

Con poche fermate di metropolitana da Rotterdam si raggiunge Schiedam, famosa per i suoi alti mulini: alcuni raggiungono i 34 metri di altezza. Un tempo venivano utilizzati per lavorare il grano utile alla distillazione dell'alcool, mentre oggi contribuiscono a rendere lo skyline della cittadina unico e fiabesco.

Per approfondire la conoscenza del gin non si può mancare una visita alla distilleria più grande di Schiedam: Nolet. Da oltre 300 anni produce ed esporta gin in tutto il mondo, mantenendo l'attenzione sulla qualità e la sostenibilità.

Poco distante un’altra distilleria che nasconde uno speakeasy, uno di quel bar clandestini nati durante il periodo del proibizionismo. Per accedervi bisogna acquistare una bottiglia di Loopuyt Gin e scrivere all’indirizzo che si trova impresso sul gettone inserito nel tappo e attendere di essere invitati al bancone del bar ad assaggiare i cocktail.

Ma sapete come si beve il gin olandese secondo tradizione? Bisogna appoggiarsi al bancone e inchinarsi sul bicchiere pieno fino all'orlo per bere il primo sorso. Gli altri verranno naturalmente.