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Intervista per Easy Travel Hosting

Qualche giorno fa sono stata intervistata da Easy Travel Hosting, una società di Web Hosting 100% ecologica creata da due nomadi digitali, che ha l'obiettivo di rendere il web più pulito e diffondere la consapevolezza di quanto esso sia esponenzialmente sempre più inquinante.
Per ogni cliente, inoltre, l'azienda pianta un albero in Guatemala, per supportare il progetto di riforestazione della giungla guatemalteca.

Abbiamo parlato di viaggi e sapori, ma anche di come ognuno di noi può migliorare la salute del Pianeta che ci ospita. Qui di seguito puoi leggere l'inizio dell'intervista

Benvenuta su Easy Travel Hosting! Potresti parlarci un po di te e di come è nato il tuo blog?

Quando, 11 anni fa, decisi di aprire un blog avevo in mente il pensiero di mostrare le mie capacità di scrittura, sperando di poter diventare autrice e giornalista. Nel giro di poco tempo sono stata contattata dal direttore di un web magazine di viaggi, iniziando il mio percorso verso il giornalismo. Mi sono specializzata da subito in turismo e gastronomia (soprattutto cucine dal mondo) perché erano gli argomenti che meglio conoscevo e che più mi appassionavano. Il nome "Travel to Taste" - un marchio registrato - mi è sembrato perfetto per esprimere il mio modo di viaggiare e raccontare. Oggi, dirigo il giornale di viaggi travelglobe.it e scrivo per il quotidiano La Stampa di cucine internazionali. Per ora ho pubblicato due libri (uno sulla Turchia e uno sull'India) e una guida turistica sulla Turchia. Il mio primo romanzo, invece, è in cerca di editore.

Leggi l'intervista completa


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Baharat: storie di altri mondi

Continuano le mie sperimentazioni nel mondo dei podcast. Dopo le spezie, ho creato una serie per raccontare le città, i luoghi che più di altri mi hanno colpito. Lo farò solo tramite le mie parole, ma anche attraverso la testimonianza di chi quei luoghi li vive.

Come tutti i miei progetti, anche Baharat è in divenire perché ogni giorno vengo ispirata da qualcosa di nuovo e voglio che questa mia evoluzione interiore si rispecchi nel lavoro. Verranno nuove idee, arriveranno nuovi spunti. Spero che abbiate voglia di viverli insieme a me.

Buon ascolto.


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Calendario dell'Avvento: una spezia al giorno in 24 podcast

Le spezie sono amore, luce e calore

Lascia che te le racconti in questo speciale Calendario dell'Avvento: 24 profumati podcast per arrivare a Natale. Nell'ultimo, ovviamente, ci sarà qualcosa di particolarmente utile per aiutarti a digerire meglio i pasti delle Feste.

Ascoltali tutti, direttamente da qui 👇 scorrendo con il mouse per scegliere la traccia che vuoi sentire.


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Fiori rosa

A volte, credo di essere attraversata da una vena di follia.

È da quando ero piccola che esercito la mente a trovare del buono in ogni cosa. Ritrovarsi improvvisamente in mezzo a una tempesta non è mai stato un problema: c'è sempre il modo di uscirne.

Oggi, ad esempio, piove. L'acqua scroscia dal cielo come una cascata di aghi, trafiggendo i prati, allagando le strade, rendendo questa dimensione ancora più estranea.

La guardo cadere al di là della finestra che, da settimane, è diventata lo schermo su cui veder scorrere la vita. Un'atmosfera strana, quella di oggi, che stride con la calda luce di ieri, portatrice di speranza. Il cielo sembra voler scaricare d'un colpo tutta la sofferenza e bagnare le cicatrici di chi, quaggiù, resta ad aspettare camminando scalzo dentro se stesso.

Sarebbe un giorno perfetto per dire addio e piangere tutto l'amore non detto. Sarebbe perfetto per appesantire questi giorni di tempo immobile, perso nell'insicurezza e nell'oblio di chi se n'è andato, anche se è rimasto. Un giorno in cui il respiro del vento trasforma tutto in ombra.

Eppure, al di là della finestra, io riesco a vedere solo i fiori rosa.

Presto diventeranno frutti, anche grazie alla pioggia.


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Cosa ricorderò del lockdown: pensieri e immagini di un'ottimista

Cosa resterà di questo lockdown che ci ha costretti a rivedere tanti aspetti della nostra vita?

Me lo sono chiesto spesso nelle ultime settimane e ho pensato di mettere nero su bianco ciò che vorrei ricordare io, per evitare che la nebbia del tempo offuschi tutto.

L'organismo umano, cervello compreso, impiega 21 giorni ad adattarsi a una nuova situazione e oltre 2 mesi di isolamento hanno fatto sì che ognuno di noi si sia creato una nuova normalità. C'è chi, terrorizzato, non intende uscire di casa nemmeno ora che le misure si sono fatte meno restrittive; c'è chi se n'è fregato fin dall'inizio, eludendo ogni controllo; c'è chi non ha smesso di lamentarsi nemmeno un attimo; c'è chi, la maggior parte in verità, naviga in acque incerte con continui alti e bassi di umore.

E poi ci sono io, che fin dal primo giorno ho voluto imparare a osservare le piccole cose, apprezzandone ogni aspetto. La psicologa torinese Barbara Migliasso, amica di una vita, sostiene che il lockdown provocherà molti disturbi post-traumatici perché chi non riuscirà ad attraversare ed elaborare il periodo, si ritroverà ad affrontare nuove paure.

E così, per esorcizzare paura e preoccupazioni, ho cambiato prospettiva di osservazione. Fino all'8 marzo 2020 ho saltato come una pallina impazzita cercando di far quadrare ogni cosa, senza aver tempo di fare tutto quello che avrei davvero voluto fare e sperimentare.

Con il lockdown mi sono concessa il lusso di rallentare e smettere di agitarmi per arrivare anche alle cose che non per forza mi competevano. Ed ecco cosa ho imparato e cosa ricorderò di queste settimane di tempo immobile.

Cosa ho iniziato (e continuerò) a fare

Tra tutto, ho iniziato ad allenare il corpo ogni giorno. Tra lezioni di yoga Iyengar (organizzati in streaming dalla mia insegnante Beatrice Canu) e workout seguiti tramite un'utilissima app, ho capito che 30 minuti quotidiani si possono sempre trovare, perché il movimento mi fa decisamente bene.

Ha trovato spazio anche un po' di meditazione, grazie alle dirette dell'Istituto Buddista Lama Tsong Khapa di Pomaia, che ho avuto modo di visitare lo scorso anno, e alle dirette della Naturopata Valentina Lo Giudice, con cui ho allenato anche la difficile respirazione diaframmatica.

Ho avuto modo di dedicarmi completamente al giardino e di ringraziare per averne uno. La cura che ci ho messo a potare, trapiantare e a osservare, mi ha fatto scoprire che l'acero giapponese ha fiori talmente piccoli da risultare quasi invisibili: è stato il ronzio incessante delle api a farmeli notare.

Mi ha fatto comprendere che anche gli alberi piangono, se feriti: anni fa avevo messo una corda intorno al tronco di un pino per sorreggere un'amaca. Mi sono accorta solo ora che quella corda aveva scavato la corteccia, ferendola profondamente. Da quando ho eliminato la corda, vado regolarmente ad abbracciare il tronco.

Ho avuto il tempo per creare nuovi progetti e per osservare l'invisibile, trovando ispirazione.

Complici i challenge che abbiamo lanciato su TravelGlobe, ho iniziato a fotografare seguendo i medesimi temi, allenandomi a guardare con uno sguardo differente le cose che ho sempre davanti agli occhi. È un atteggiamento che non voglio più perdere.

 

 

Cosa ricorderò (e mi mancherà)

  • Cenare presto.
  • I pranzi in giardino (grazie anche a una delle più belle primavere, meteorologicamente parlando, degli ultimi anni).
  • Il caffè del mattino al sole.
  • Il tempo con mio marito, che non è mai abbastanza.

Ma non è escluso che troverò il modo di mantenere queste cose anche nella mia nuova vita.


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Cosa fare a Torino se i musei sono chiusi

Torino, città del Museo Egizio più grande dopo quello del Cairo, delle residenze reali, della GAM e del MAO ha molto da offrire anche quando i musei sono chiusi. Torino ha luoghi e quartieri interessanti che vanno ben oltre lo splendido centro storico e ti faranno scoprire che ci si può sentire un po' esploratori ovunque, basta saper cercare.

Cosa fare a Torino: musei open air

Il MAU - Museo d'Arte Urbana - si sviluppa nel quartiere storico Campidoglio. È il primo museo di arte contemporanea a cielo aperto in Italia e il percorso ti condurrà alla scoperta di circa 170 opere realizzate sui muri dei palazzi. Il quartiere operaio nato nel 1853 è oggi un luogo di bellezza, dove perdersi tra le strette vie camminando con il naso all'insù. Gli abitanti del borgo sono parte integrante del progetto per aiutare gli artisti a trovare gli spazi da dedicare all'arte. Non mancano nemmeno le Panchine d'Autore che, insieme alla Galleria Campidoglio, offrono spunti di riflessione e discussione. Per esplorare il MAU c'è una mappa a disposizione ma è anche possibile prenotare visite guidate.

La Street Art, però, vivacizza anche altre zone.

  • In Lungo Dora Savona 30 si può incontrare la monumentale donnola di Roa, famoso artista belga che ha esercitato qui il suo inimitabile stile in bianco e nero.
  • San Salvario è colorato da artisti di fama internazionale. In via Nizza 50 il portoghese Vhils ha dato vita a un meraviglioso volto senza titolo, il ritratto di una persona che ha incontrato durante un viaggio in Messico.
  • In via Lugaro c'è AbitHoudini di Agostino Iacurci mentre nel parcheggio di piazza Madama Cristina, Souvenir Turin è la sirena firmata To/Let.
  • In corso Regina Margherita 140 c'è The Rubbish Whale, la balena fatta di immondizia parte del progetto TOward 2030, What are you doing? che coniuga street art e impegno sociale.

Cosa fare a Torino: il mercato di Porta Palazzo


Il mio quartiere preferito. Ci vado per fare la spesa, per pranzare ma, soprattutto, per sentirmi un po' in vacanza. È la zona multietnica per eccellenza e venire qui significa immergersi in quei colori e profumi che trovo nei suq arabi e nei mercati asiatici. Il mercato coperto è il più grande d'Europa e, alle sue spalle, c'è un fornito mercato contadino. Ma ogni seconda domenica del mese la zona si anima con il Gran Balôn: oggetti vintage e di artigianato riempiono le bancarelle fino al Cortile del Maglio.

La periferia di Torino: Barriera di Milano

 

Nato come borgo operaio, Barriera dista solo 1,5 km dal centro città. Mentre gli antichi magazzini si stanno trasformando in laboratori per creativi, a me piace andarci per un motivo specifico: piazza Foroni o, come viene chiamata dai più, piazza Cerignola. Come potrai immaginare dal nome, qui troverai tutte le delizie pugliesi che puoi desiderare: focaccia barese, taralli artigianali, orecchiette di grano arso, olive, mozzarelle fresche... Un Paradiso gastronomico dove sentire sulla pelle (e nello stomaco) un po' di calore tipico del Sud. In questa zona non mancano nemmeno le opere di street art da cercare sui muri dei palazzi: qui tredici facciate cieche creano un unico progetto; Habitat di Millo affronta infatti il tema del rapporto tra l’uomo, perennemente fuori scala, e il tessuto urbano.

Per qualche consiglio su dove dormire e mangiare clicca qui, mentre qui trovi i mie ristoranti etnici preferiti.


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A Torino la cucina è Fuzion

Per definizione, il termine contaminazione ha un'accezione negativa. Sinonimo di inquinamento e contagio, è una parola che per me ha invece un significato meraviglioso, quasi magico.

È la capacità di prendere il meglio di aspetti o culture diverse, per creare un nuovo intrigante e più ricco insieme. Ho trovato questa attitudine in Domenico Volgare, chef e patron di Fuzion Food, una realtà presente a Torino da ormai sei anni dove il sushi è creato per valorizzare le bontà del territorio: una sorta di filo che unisce Piemonte, Puglia e Giappone. E da oggi il menù si arricchisce di un antico ingrediente che noi piemontesi conosciamo bene: il Moscato.

Fuzion Food: il ristorante

Aperto a pranzo e a cena dal martedì alla domenica, Fuzion Food propone un menu alla carta o una serie di combinazioni pensate per l’aperitivo come le tapas o dei percorsi degustativi in un ambiente colorato dal respiro internazionale: i murales alle pareti fanno sentire un po' a Berlino.

Una cucina legata alle tendenze del momento, ma che vuole valorizzare i prodotti del territorio italiano. Così il sushi come lo conosciamo noi -  un po' inflazionato e tipico dei locali trendy - si trasforma in un piatto contadino per dimostrare che è possibile restare legati alle tradizioni riuscendo a stare al passo con l'innovazione e, appunto, la contaminazione.

Sushi al Moscato d'Asti DOCG

In questo processo di continua ricerca, che tanto appartiene a Domenico Volgare (già noto per le pizze fatte con farine speciali e 100 ore di lievitazione), è nato il sushi con il Moscato d'Asti DOCG di Mongioia al posto del tradizionale mirin (una sorta di sakè dolce): il risultato è un riso molto aromatico, fresco e meno dolce. Ma l'innovazione non finisce qui: niente pesce, ma solo ingredienti autoctoni come il riso dell'alessandrino, la salsiccia di bovino piemontese della Granda, la robiola di Roccaverano, le olive taggiasche o le cime di rapa; al posto dell'alga nori, che per natura si sposa con i prodotti del mare, i fogli di soia mame nori, piuttosto neutri al palato.

Un insieme piacevole, da assaggiare in un'unica esperienza gustativa per apprezzare tutte le sfumature degli ingredienti e, soprattutto, del Moscato. (Disponibile da febbraio 2020)

Al Fuzion Food anche il dolce è un po' sushi

Non manca il riso al Moscato di Mongioia nemmeno nel dessert: viene fritto per diventare un piacevole crunchy a far da base a una mousse al Moscato, lamponi e meringa allo yuzu, realizzato in collaborazione con il pastry chef Marco Sforza. In abbinamento, il Moscato affinato in anfore di terracotta, in grado di conferire una particolare armonia.

Non mi resta che tornare per assaggiare i gyoza con salame di turgia e cime di rapa.

Indirizzo: Fuzion Food | Via Volta 4/b Torino (a due passi da Porta Nuova)


Il mondo che vorrei: dissertazioni sul razzismo

Sono da poco stata a Parigi e, com'è mia abitudine quando mi trovo in treno o metropolitana, ho colto l'occasione per dedicarmi all'arte dell'osservazione. Ci avete mai provato?

Mi perdo tra i dettagli, immagino storie di felicità e dolore, guardo cosa leggono le persone e tendo l'orecchio per carpire qualcuna delle noti musicali riprodotte nelle cuffie. L'Umanità mi incuriosisce e, ogni volta che noto qualcuno dal volto o le movenze particolarmente interessanti, avrei voglia di avvicinarmi per fare domande: come ti chiami? Che lavoro fai? Qual è il tuo piatto preferito? Sei innamorato?

Così, seduta tra le fermate Plaisance e Champs-Élysées, ho visto una ragazza di colore dal fisico perfetto che ritmava con le dita affusolate e lo smalto azzurro la musica che proveniva dalle grosse cuffie; mi ha incuriosito la cinese con una spessa sciarpa gialla e lo sguardo perso nel vuoto; mi ha fatto sorridere la nera con la borsa variopinta dai tipici disegni centroafricani e le treccine rallegrate da fili metallizzati; mi ha incuriosita l'araba con profondi occhi neri che guardava video di danza orientale e ho sorriso complice alla giapponese salita di corsa con il fiato corto.

Ho visto il mondo variegato che credo dia valore all'esistenza di ognuno di noi, arricchendolo con sfumature sconosciute ma straordinariamente belle.

Poi ieri, parlando con una persona che purtroppo conosco bene, ho chiesto come fosse andata l'esperienza lavorativa in un Paese dell'est Europa poco lontano dall'Italia e lui "Ah bene, è un Paese molto avanti e, soprattutto, non ci sono neri e marocchini per strada. Cioè" ha continuato "non è che io sia razzista, però da noi sono ovunque e non se ne può più."

Ho taciuto a causa dal dovere dettato dalla situazione ma avrei voluto dire "Magari non sei razzista (!!!) ma di sicuro sei uno stronzo."

Come dice questo spezzone di un film del 1943, i diritti delle minoranze devono essere i diritti di tutti perché tutti noi facciamo parte di una minoranza. La sola fortuna che posso dire di avere avuto è quella di essere nata nella giusta area del mondo, in una famiglia sufficientemente agiata e colta da crescermi con una mente aperta. Tutto il resto del mio mondo lo creo ogni giorno, attingendo energia da tutte le persone straordinarie che incontro e isolando gli str****.

 


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Enigma e Tickets a Barcellona: i ristoranti di Albert Adrià che hanno fatto rinascere Poble Sec

Comprare un biglietto aereo solo per cenare in due templi dell'alta cucina. Lo hai mai fatto? Io sì: sono stata 48 ore a Barcellona per ripercorrere le tracce dei fratelli Adrià, grazie a cui il quartiere popolare Poble Sec sta tornando a nuova vita. Il mio racconto su Enigma e Tickets lo trovi qui 👉 https://tinyurl.com/y2nnvgkz

Di seguito, invece, qualche foto che ti faranno venir voglia di partire subito.

Enigma Concept

 

Tickets: la Vida Tapa

 


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Esperienze da provare in Corea: Temple Stay e cucina zen

In occasione della Korea Week 2019, che si è svolta a Torino, ho avuto modo di scrivere molto di Corea. Ho amato molto questo Paese fatto di tradizioni e modernità, dove il cibo è ottimo ma l'interesse per il benessere fisico è più forte. Un luogo dove le persone parlano poco inglese, ma cercano di comunicare in ogni modo e ti avvolgono con i loro sorrisi luminosi.

Di recente ho avuto l'onore di intervistare la monaca coreana Jeong Kwan, ormai famosa grazie a una puntata di Chef's Table su Netflix, e mi sono fatta raccontare la sua filosofia e perché sente la necessità di diffondere la cultura della cucina zen nel resto del mondo. Trovi il mio articolo su Reporter Gourmet.

Su TravelGlobe ho invece raccontato cosa significa Temple Stay e le esperienze che si possono provare durante la permanenza. Il massimo sarebbe riuscire a soggiornare nel tempio della monaca Kwan.

QUI, infine, trovi alcuni miei racconti su alcune tradizioni coreane; sono stati scritti poco dopo il mio viaggio, ma restano sempre attuali.

 

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Festa dei Gitani: Les-Saintes-Maries-de-la-Mer si tinge di mille colori

Quando ero bambina spesso dirigevamo il camper verso Les-Saintes-Marie-de-la-Mer, in Camargue. Me ne lamentavo, perché in mezzo a quella laguna mi preoccupavo più per le zanzare che di concentrarmi sul paesaggio a specchio, sui cavalli bianchi, sui fenicotteri e le saline rosa. Non ricordo quando andai per la prima volta alla Festa dei Gitani, ma i canti, i colori e i volti sono rimati impressi. Quest'anno ho deciso di tornare, per vedere tutto con occhi diversi.

Sara la nera

Dopo la crocifissione di Cristo, Maria Salomè e Maria Jacobè furono abbandonate su una barca dalle coste della Palestina. Senza vele e senza remi erano destinate a morte certa, ma vicino alla costa egiziana vennero avvistate da una giovane serva: si chiamava Sara, aveva la pelle nera e la capacità di trasformare il mantello in barca per salvare le naufraghe. Da quella terra lontana le Marie navigarono poi fino alla foce del Rodano, in Francia, dove sarebbe poi nata Les-Saintes-Maries-de-la-Mer.

Da allora Sara la Nera è la protettrice di gitani e viaggiatori che, ogni anno il 24 maggio, si riuniscono nel piccolo paese della Camargue per festeggiarla e condurre le sue spoglie in processione fino al mare.

La cosa singolare è che Sara per la Chiesa non è affatto santa, ma nonostante ciò dal 1935 permette a Rom, Gitani, Zigani e Manouche di celebrarla trasformando Les-Saintes-Maries-de-la-Mer in capitale gitana; per tre giorni, infatti, musica, canti e balli animano le deliziose vie cittadine facendo sentire anche visitatori e curiosi un po' vagabondi in cerca di libertà.

La Festa dei Gitani connette con l'Universo, facendo comprendere una volta di più che esiste solo una razza, quella Umana.

Un consiglio: se potete partecipate alla veglia che si svolge in chiesa la sera che precede la processione, sarà un'emozione indimenticabile.

Come organizzarsi

Anche se i campeggiatori che partecipano alla Festa dei Gitani sono molti, gli alberghi fanno comunque il pienone ed è bene prenotare per tempo. Io ho scelto il delizioso Mas des Salicornes: si trova all'inizio del paese, fuori dal caos ma abbastanza vicino da permettere di muoversi a piedi. Ha il parcheggio interno, così all'auto non si pensa più per tre giorni.

Stesso discorso vale per i ristoranti: lavorano ogni sera su più turni, è quindi necessario prenotare. Mi piace scegliere in loco, quindi prenotavo il tavolo per la cena alla mattina del giorno stesso. In un ristorante mi sono trovata particolarmente bene: si chiama Chante Claire, ha pochi coperti, un ambiente allegro e un po' fuori dalle righe, ottimo cibo locale e personale molto simpatico.

 

 

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Istanbul, bella e capricciosa

Scintillante come sei, Istanbul, non puoi che far innamorare. Eppure, la prima volta che ti vidi eri diversa: sempre caotica e vivace, ma come ricoperta da un sottile strato di polvere. Una sorta di filtro che ti faceva assomigliare a una vecchia cartolina sbiadita dall'innegabile fascino un po' fané. Era il 1980, anno in cui ci fu il terzo colpo di stato della tua storia e anno in cui mi persi irrimediabilmente in te, città bella e capricciosa.

Quando mi chiedono perché bisognerebbe scegliere di visitarti, consiglio di vedere due film: Hamam di Ferzan Ozpetek (qui la colonna sonora) e Un tocco di zenzero (qui la colonna sonora). Entrambi raccontano in maniera chiara e poetica il senso di perdita che si prova quando si è costretti a lasciarti. Ogni scena è una pennellata data con i colori che più ti caratterizzano: quelli dei bazar, delle spezie, delle architetture, delle maioliche. Le medesime tinte, dopo aver visto i film, vorrai andare a cercarle di persona per imprimerle il più possibile negli occhi, nella memoria.

La prima visita, di norma, parte da Sultanahmet con la Moschea Blu, Aya Sofia, la Basilica Cisterna e il Topkapı Sarayı, il palazzo imperiale, dove merita trascorrere qualche ora tra gioielli lucenti, giardini ombreggiati e motivi ottomani. Ma è all'alba che bisogna svegliarsi se si vuole vedere la vera anima di Istanbul: è alle prime luci del mattino, infatti, che la città lentamente si sveglia rivelando i suoni più intimi. Le ruote dei carrelli che scorrono sull'asfalto mentre trasportano le merci per i negozi, il tintinnio dei bicchieri a forma di tulipano per il çay, il mormorio delle preghiere, gli sbadigli, i günaydın (buongiorno) detti con un filo di voce. All'alba Istanbul è una città silenziosa, che non ha niente da dimostrare. E profuma di simit, le tipiche ciambelle al sesamo.

Poi le vie si animano così come i mercati, si sentono le urla di richiamo per i clienti e il fragore del traffico da cui sfuggire nei quartieri meno conosciuti e frequentati. Basta andare a Balat e Fener per immergersi nella più tipica atmosfera ottomana, tra case a sbalzo colorate e un po' scrostate, oppure a Moda per un pranzo tipico vista mare o, ancora, rifugiarsi in un hamam. Avvolti nel peştemal, il tipico telo di cotone che potrete acquistare un po’ ovunque, bisogna avere la pazienza di rimanere sdraiati sulla piattaforma centrale di marmo, mentre goccioline d’acqua calda cadono sul corpo e guardare i giochi di luce tra il vapore e il sole, che filtra dai fori nel soffitto a volta. Seguono il peeling, effettuato tramite un guanto ruvido, e il savonage, insaponatura fatta da un massaggiatore.

Quando giunge il tramonto, infine, bisogna andare in uno dei locali a Kadıköy o Üsküdar, sotto il ponte Bebek, e attendere che il Bosforo si tinga di arancione sorseggiando un buon bicchiere di vino prodotto con Okuzgozu, un vitigno autoctono dal gusto caldo e avvolgente.

Se a un uomo venisse concessa la possibilità di un unico sguardo sul mondo, è Istanbul che dovrebbe guardare.

[Alphonse de Lamartine | 1780-1869]

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