Salone OFF Food Topic per Exposed: la fotografia incontra il cibo

Dal 2 maggio al 2 giugno 2024 in occasione di Exposed Torino Foto Festival Torino torna Salone OFF Food Topic. L'occasione per gli chef di dare un'interpretazione gastronomica di alcuni capolavori della fotografia internazionale è ghiotta, tanto che anche uno dei top player della ristorazione ha accettato la sfida: lo chef guest di questa edizione, infatti, è Federico Zanasi del ristorante 1* Michelin Condividere.

EXPOSED Torino Foto Festival 2024

(Autoritratto di Paolo Pellion di Persano)

Questa prima edizione è dedicata al tema New Landscapes – Nuovi Paesaggi, e propone una riflessione sull’evoluzione odierna del medium fotografico e delle principali sfide e innovazioni del mondo dell’immagine, attraverso un cartellone di mostre temporanee, incontri, talk ed eventi nelle sedi delle principali istituzioni culturali torinesi.

La prima fotografia di Torino nella storia è custodita alla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea e risale al 1839. Immortalava una veduta della Chiesa della Gran Madre ed era il terzo dagherrotipo scattato in Italia in ordine di tempo. Un’innovazione che, pian piano, contribuì alla diffusione del mezzo e alla nascita di atelier fotografici in tutta Torino. Trovi il programma completo dell'evento su www.exposed.photography ma le mostre che sicuramente vedrò io sono:

  • CAMERA: la mostra Heatwave dell'artista sudcoreano Dongkyun Vak.
  • VILLA DELLA REGINA: True Colors di Mathieu Asselin.
  • CASTELLO DI RIVOLI: Expanded Without e Paolo Pellion di Persano. La semplice storia di un fotografo.

Un unico pass permetterà l’accesso alle mostre di EXPOSED per tutta la durata del Festival, dando diritto a un unico ingresso per ogni mostra. A partire dal 5 marzo sarà possibile acquistare il pass al prezzo di €25.

Salone OFF Food Topic: gli chef ispirati dalla fotografia

I ristoranti che hanno aderito a questo Fuori Salone dedicato ai sapori sono molti e ognuno, come sempre, ha ideato un piatto dedicato e ispirato all'occasione che verrà proposta in limited edition durante il periodo del Festival. Qualche esempio? Brace Pura (Via Roero di Cortanze, 2 Torino) con il suo carpaccio di Fassona piemontese, sale di Cipro, jus di pesche gialle e fiori di campodi ispira all'artista francese JR. Passaparola (Via Torta, 3 - Vinovo) grazie a Lynsey Addario ha creato nuovi sapori mediorientali con la sua Pita con pulled lamb, babaganoush, hummus, crème fraîche, pomodori, cipolla e menta. Raffaleo (Via Piave, 5m - Torino) con il Ramen modenese interpreta Pia Riverola e alla sua rappresentazione della città di Tokyo. Su Instagram trovi tutti i piatti in programma.

Il viaggio immaginario di Federico Zanasi

Come testimonial di questa edizione di Salone Off Food Topic, Zanasi ha pensato di creare un dolce, nato dalla fantasia del suo giovane figlio. Lo chef, che nei suoi piatti sviluppa sempre il tema dell'altrove, questa volta ha chiesto al figlio di rappresentare con una fotografia "il viaggio" e la scelta è ricaduta su un'immagine del pianeta Terra.

"Condividere cerca da sempre di far viaggiare le persone che si siedono alla sua tavola, proponendo preparazioni e ingredienti insoliti. Salone OFF questa volta rappresenta la fotografia e il viaggio e noi, con il nostro dolce dedicato, vogliamo far fare un viaggio immaginario. Abbiamo scelto un'immagine con un astronauta che osserva la Terra dalla Luna offrendo un punto di vista diverso, che è quello che vogliamo dare noi." Dice Federico Zanasi

Così è nato questo dessert con una mousse di nocciola, bavarese al cioccolato e passion fruit e una nuvola di caffè: una preparazione che, come ogni viaggio che si rispetti, unisce diverse culture.

Oltre al dolce della foto di apertura, di seguito qualche altra foto dal menù di Condividere (le prenotazioni aprono il primo giorno di ogni mese).


Templestay in Corea: dormire in un tempio alla ricerca della felicità

Svegliarsi tra il canto degli uccelli, circondati da sola vegetazione, seguendo i ritmi naturali è l’esperienza migliore che possiamo regalarci. Se a tutto ciò aggiungiamo il privilegio di entrare in contatto con più di 700 anni di tradizione buddista coreana, possiamo considerarla un’opportunità da cogliere almeno una volta nella vita. La monaca coreana Jeong Kwan, grazie a una puntata di Chef’s Table su Netflix, ha portato a conoscenza il resto del mondo della cucina del tempio, un modo di alimentarsi buono per il corpo e per il Pianeta; ma soggiornare in un tempio in Corea offre molto di più e non è necessario essere buddisti per accedere e cercare la felicità.

Come funziona il Templestay?

Nei giorni feriali i templi offrono programmi liberi durante i quali i partecipanti possono scegliere le attività da svolgere. Durante i week-end, invece, sono previsti programmi culturali incentrati sul buddismo. La permanenza media è di una notte, ma è possibile rimanere fino a tre notti. Si tratta, naturalmente, di un’esperienza da vivere in semplicità, godendo dell’atmosfera e delle bellezze della natura. Ci sono quindi alcune regole da seguire:

  • Portare con sé prodotti da bagno e asciugamani.
  • Indossare scarpe comode (da ginnastica o trekking) per potere esplorare il territorio intorno al tempio.
  • Munirsi di abiti adatti alla stagione (gli inverni in Corea possono essere molto rigidi) e al luogo sacro.
  • All’interno dei monasteri è vietato fumare.
  • Si raccomanda rispetto verso gli altri e la natura: parlare sempre a voce bassa per ascoltare la propria voce interiore.
  • Ricordare di salutare le altre persone, soprattutto i monaci, unendo le mani all’altezza del cuore.
  • Essendo il tempio un luogo sacro, uomini e donne non possono condividere la stanza da letto.

Esperienze da provare

Barugongyang

Il pasto della condivisione, che si attinge dai baru, un set di quattro ciotole che simboleggia il mondo con i suoi elementi. Solo cibo vegetariano, che evita anche aglio, cipolla e spezie per non distrarre la mente dalla meditazione. Perché in un tempio buddista tutto è meditazione, anche camminare e mangiare. L’intento della monaca Jeong Kwan, che porta questo rituale in giro per il globo, è quello di infondere maggiore consapevolezza “Se ognuno di noi ringraziasse il cibo e chi lo ha preparato, e se gli ingredienti fossero esclusivamente stagionali e cucinati con attenzione, l’intero Pianeta ne gioverebbe.” Il Barugongyang, ritmato dal suono di due canne di bambù, non è quindi solo un pasto, ma una cerimonia quotidiana che dimostra rispetto per la natura, a cui tutti torneremo.

Dado, la cerimonia del tè

Mentre le foglie tingono di un verde gentile l’acqua calda, puoi chiacchierare con i monaci per approfondire la cultura coreana, in un ambiente sospeso nel tempo.

Meditazione Seon

Una pratica che insegna a rivolgere l’attenzione verso il proprio interno, illuminando il vero Io. Non importa dedicare alla meditazione 5 minuti o un’ora, basta farlo con costanza ogni giorno e, con il tempo, si imparerà a vivere la propria vita in tutta la sua interezza.

Come prenotare

L’unico modo per accedere al Templestay è prenotando sul sito dedicato. Basta scegliere il tempio dove si vuole soggiornare, consultare il programma di attività e inviare la richiesta.

Per scoprire invece il potere della cucina zen leggi la mia intervista alla monaca Jeong Kwan.


Monaco di Baviera insolita: viaggio nell’arte classica e urbana

Monaco di Baviera abbaglia con i suoi palazzi dipinti di nuovo inondati di luce e le strade pulite. Un angolo di Germania particolarmente elegante e dinamico, che però custodisce luoghi fatti di colori forti e qualche tocco di imperfezione.

Questo è un viaggio alla scoperta dell'altra Monaco di Baviera, quella che va oltre le birrerie e il pur splendido museo della BMW.

Street-Art a Monaco di Baviera: Angelo della pace

Una bella passeggiata lungo il fiume, conduce al celebre Angelo della Pace, eretto nel 1870 per celebrare il venticinquesimo anniversario della pace ottenuta dopo la guerra Franco-Prussiana. Sotto il monumento, in un sottopasaggio, si trova una galleria ricca di graffitirealizzati da artisti sia tedeschi che stranieri, tra cui spiccano i nomi di Loomit e Makus. Una trentina di murales che rappresentano vari personaggi e soggetti, tra cui anche il sovrastante Angelo dorato.

Street-Art a Monaco di Baviera: Tumblingerstraß

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Anche se è raggiungibile con poche fermate di metro da Marienplaz, consiglio di arrivarci a piedi per respirare un po’ l’atmosfera monacense. L’itinerario parte da Ruppertstraße fino a raggiungere i mercati generali. Anche se in questa zona c’è più vandalismo che murales, ci sono alcuni angoli interessanti. Lo spazio per creare altra street-art non manca, speriamo che quindi che si aggiungano presto nuove opere.

MUCA: museo di arte urbana e contemporanea

Per valorizzare la street-art, che si è sviluppata a Monaco di Baviera solo negli ultimi anni, è stato apero il Museo di Arte Urbana e Contemporanea. Nessuna collezione permanente, ma un susseguirsi di mostre con artisti internazionali. Fino a maggio 2020 c’è la bella esposizione di Swoon: americana che utilizza una tecnica mista fatta di collages e pittura. Il MUCA ospita sue opere che ricreano gruppi etnici differenti: un viaggio nel mondo dell’Umanità. Questo museo è anche un luogo di ricerca e meditazione, dove trascorrere un po’ di tempo in contemplazione della bellezza. Si trova in pieno centro e include anche una piacevole caffetteria.

Kunstareal: il quartiere dei musei

Il museo Brandhorst spicca per originalità grazie alla copertura esterna composta da 36mila bacchette di ceramica colorata. Primo museo ecologico al mondo, utilizza energia geotermica e ha un interno arredato in legno chiaro, con pavimenti che assorbono i suoni, la luce naturale, inoltre, valorizza la più grande collezione tedesca delle opere di Andy Warhol, ma non mancano anche altri celebri artisti come Richter.

La Lenbachhaus è una villa neoclassica che fu residenza residenza del principe-pittore Franz Von Lenbach. In questo luogo di eleganza, Kandinsky e Klee dialogano con l’arte urbana e visiva. Il museo racconta l’arte sotto qualsiasi forma e linguaggio, riuscendo ad avvicinare ogni generazione.

Un po’ di shopping

Non amo la folla e, soprattutto, detesto i grandi marchi che si trovano ovunque nel mondo. Così, per fuggire dal centro di Monaco, che è pieno di entrambe le cose, ho raggiunto Glockenbachviertel, quartiere considerato trendy per i locali ma che è sede di alcuni deliziosi negozi indipendenti dove trovare solo designer tedeschi. Personalmente mi sono persa all’interno di 7 Himmel, piccolo ma ben fornito negozio di abbigliamento originale e colorato. Schwittenberg, che si trova però nella zona dei musei, è invece un interessante concept store con abbigliamento e accessori di bella fattura, anche se abbastanza costosi.

Qualcosa di buono

Per una merenda o un pranzo veloce, scegliere il Café Luitpold: la storica caffetteria 2 forchette Michelin ha un’allure elegante ma informale. L’omonima torta a cinque strati cin crema al Riesling e copertura di cioccolato fondente è da provare.

Per cena, evitate le inflazionate birrerie Augustiner e HB, che non sono più all’altezza per quanto riguarda il cibo, ma optate per uno dei tanti ristoranti vietnamiti (l’Annam Grill è davvero ottimo) o per una classica schnitzel alla Schiller Bräu: dicono che sia la più buona della città. Ricordate però di prenotare in anticipo.


Les Petites Madeleines e la nuova proposta vegetale

Un nuovo percorso vegetale per festeggiare i primi cinque anni dello chef Giuseppe Lisciotto a Les Petites Madeleines di Torino. Un itinerario che esplora - approfittando della stagione più variopinta che c'è, la primavera - nuovi sapori per assecondare la richiesta sempre più frequente di piatti veg.

La scelta è parte anche di una naturale evoluzione professionale per lo chef di origini calabresi, che in questi anni alla guida del ristorante del Turin Palace Hotel ha saputo sperimentare e dar libero sfogo alla propria creatività, pur restando fedele ai grandi classici a cui i clienti più affezionati sono abituati.

Nonostante la giornata uggiosa e decisamente poco primaverile, il menù di Lisciotto ci ha illuminati con i colori e la fantasia. I piatti - leggeri ma saporiti - si rifanno ai vegetali del periodo che, visto il clima non ancora mite, includono per il momento ancora cavolfiori (ottimi grigliati e serviti con mele e senape in brodo umami) e broccoli (utilizzati per uno strepitoso risotto ricco di sfumature agro-dolci). Più avanti non mancheranno nuove proposte, più in linea con il momento climatico e la disponibilità dei vegetali.

La giovane squadra di cucina continua il suo lavoro con passione e curiosità allo scopo di portare la felicità in tavola.

Al ristorante Les Petites Madeleines si sta bene: per la proposta gastronomica mai banale e per la gioia che si legge negli occhi di chi ci lavora. Un luogo felice in città, di cui aspettiamo con trepidazione l'apertura della meravigliosa terrazza con la vista più romantica su Torino.

Turin Palace Hotel - Les Petites Madeleines
Via Sacchi 8 Torino
Telefono 011 0825321

Panna cotta alla mandorla, lampone e sorbetto di rabarbaro


Agrisalumeria Luiset: il benessere a tavola

Mangiare bene è sempre più difficile, ma in un modo di cibi processati (male) ci sono realtà come l'Agrisalumeria Luiset che danno speranza per il futuro.

 

È d tempo ormai che mi interrogo sul futuro dell'alimentazione. Spesso si pensa a "quanto si stava meglio" con i piatti semplici della nonna o quando le materie prime non arrivavano via aerea dall'altro emisfero. Dalla nascita del primo allevamento intensivo (negli anni Venti del Novecento, nemmeno a dirlo, negli States) il settore alimentare si è evoluto: è aumentata la sicurezza, sono migliorate le tecnologie. Eppure, sono peggiorati i prodotti: parlo soprattutto di quelli reperibili nella GDO, di cui si nutre la maggior parte delle persone.

Giusto qualche giorno fa ho seguito l'interessante inchiesta di Indovina chi Viene a Cena su ciò che avviene negli allevamenti intensivi (sia di carne che di pesce) e su come influisca negativamente sulla nostra salute. Ma sono da sempre fermamente convinta che il benessere - sia nostro che del Pianeta - non passi esclusivamente da un'alimentazione vegetale (di cui per altro sono una sostenitrice): l'ingrediente principale è la consapevolezza. Richiede tempo e impegno per essere "elaborato", ma offre giusto nutrimento e soddisfazione.

Agrisalumeria Luiset: filiera cortissima

Tra le dolci colline del Monferrato, che delineano altrettanto dolci vallate, c'è un'azienda di tradizione famigliare dove il rispetto per gli animali si riflette nei prodotti finali. Luigi Casetta, per tutti Gino, racconta fiero e orgoglioso le origini del suo lavoro. Ricorda quando andava nelle cascine di zona (Ferrere, Asti) a macellare i maiali per conto terzi prima di aprire, nel 1990, una propria azienda agricola con salumeria, vendendo nei mercati di Alba e Montà d'Alba. Dal 2012, anche grazie all'aiuto del figlio Mauro, Luiset è passata dal garage di casa alla nuova sede dove tutt'oggi allevano, macellano e trasformano i maiali.

Gino Casetta

Le regole del gusto per la famiglia Casetta:

  • Maiali alimentati in maniera naturale (fiocchi di fave, crusca, mais e orzo) e lasciati vivere per quasi due anni in 20.000 metri quadrati di terreno.
  • Macello proprio, in modo da garantire agli animali il minor stress possibile.
  • Pulizia totale degli ambienti di lavoro, dagli spazi per i maiali ai laboratori al punto vendita.
  • Assenza nei prodotti finali di zuccheri, derivati del latte, ascorbati, polifosfati e glutammati.

Sostenibilità

L'Agrisalumeria Luiset è un'azienda moderna, che guarda al futuro. Si vede nell'impianto fotovoltaico la cui produzione massima coincide con la necessità massima aziendale, ma anche nel sistema di fitodepurazione: una vasca che raccoglie le acque reflue del laboratorio depurandole attraverso le radici delle canne che vivono al suo interno.

Novità Luiset 2024

Come tutte le aziende innovative, Luiset non si ferma mai e continua a mettere sul mercato nuovi prodotti. Quest'anno sono nati i Cotti a bassa temperatura: gustose ricette pronte da gustare come il Pulled Pork, i Guanciotti (taglio particolarmente magro), le leggermente piccanti costine BBQ, l'arrosto e il filetto.

Agrisalumeria Luiset ha punti vendita a Torino (Via Po, 39) e ad Alba (Piazza San Franscesco, 5b) ma ti consiglio di prenderti il tempo per andare ad acquistare direttamente in azienda a Ferrere, At (Via Torino, 107) per vedere con i tuoi occhi cosa significa qualità.

Sei quello che mangi

Siamo davvero sicuri che mangiare verde sia salutare a prescindere? Un articolo su Internazionale evidenzia come l'aumento esponenziale dell'impiego di cereali come riso e grano abbia imposto l'utilizzo di varietà ad alta resa (hyv); uno studio ne ha analizzato 1.500 tipi, introdotti in India tra gli anni Sessanta e il 2018, chiarendo che questi programmi hanno modificato la composizione nutrizionale. In pratica con l'intento di sfamare un maggior numero di persone non solo è stato compromesso il valore nutrizionale, ma è aumentata la presenza di metalli intossicanti, che possono causare tumori al polmone o malattie respiratorie croniche.

Sempre su Internazionale si parla di quanto sia aumentato il costo del cacao - a causa di siccità e di malattie che hanno colpito la pianta - con la conseguente necessità di alcuni produttori industriali di sostituire il nobile ingrediente con un più economico (e dannoso) caramello.

Quanto vale la tua salute?

 


EDIT Torino: nuova aria internazionale nel ristorante di periferia

Aperto nel 2017 con l'intento di essere un grande incubatore gastronomico, EDIT Torino ha attraversato non poche difficoltà. I torinesi da subito si sono dimostrati poco inclini a lasciare il centro città per cenare in periferia, gli esperti del settore invece ancora oggi pensano che una location decentrata non sia in grado di attirare appassionati gourmet intenzionati a spendere come in un ristorante di fine dining con vista.

Eppure a me EDIT è sempre piaciuto. Mi ha fatto credere che Torino potesse diventare davvero internazionale. Un po' come New York e Londra: dove percorriamo chilometri a piedi anche solo per mangiare un panino particolarmente buono. Ma qui no. Una città in cui non si può a chiudere il traffico nella zona centrale perché le signore devono andare a fare shopping in auto, non riesce a spingersi un po' più in là dal proprio piccolo giardino per qualche ora.

Questo mi ricorda mio suocero che, torinese doc, diceva di sentirsi a disagio se non vedeva la Mole Antonelliana per troppo tempo. Ma lui aveva 94 anni e, curioso com'era, a volte si lasciava guidare alla scoperta di nuovi posti.

Ma EDIT Torino non si abbatte e rilancia con un nuovo ristorante al primo piano (là dove c'erano i fratelli Costardi) guidato dallo chef italo-argentino Emiliano Decima.

Per la ripartenza del ristorante al primo piano, EDIT punta sull'abbinamento fra i piatti di Emiliano Decima e i cocktail di Samuel Donniacuo. Una proposta divertente, la sua, basata sulle Tapas. Con questo termine si identifica un’ampia varietà di piatti tipici della cucina spagnola, che normalmente vengono consumati come antipasto o con l’aperitivo.
Si tratta di piccoli bocconi dal design particolare: porzioni ridotte e variegate che interpretano sia la più tradizionale delle cucine, che le vie più ricercate dell’alta cucina e che permettono, viste le dimensioni, di assaggiare molte preparazioni. Il modo di consumarle, inoltre, rappresenta lo spirito di convivialità e divertimento tipico degli spagnoli.

La proposta di Emiliano Decima per EDIT Torino si basa su ottima carne argentina cotta a fuoco diretto sulla griglia giapponese Robata. La medesima griglia, però, serve per cuocere anche verdure e pesce, che non mancano in menù. Piatti che parlano spagnolo, ma traggono ispirazione anche dal patrimonio gastronomico asiatico e, ovviamente, latinoamericano manifestandosi anche in marinature e affumicature.

Ruolo fondamentale della nuova formula è giocato anche dai cocktail di Samuel Donniacuo, che ha pensato nuove ricette ma senza stravolgere i grandi classici per non disorientare gli avventori. Quanto costa? Le Tapas vanno da 9 a 13 euro, carne e pesce alla griglia 23. Il giusto prezzo per una cena informale e di qualità.

Le mie Tapas preferite? Il Panino pastrami, senape miele e cetrioli, Steak tartare con pan brioche e tuorlo affumicato e Picanha, taglio di carne tipico della cucina argentina e brasiliana.

EDIT Torino: Piazza Teresa Noce, 15/A | t 327 7511078 | Aperto giovedì, venerdì e sabato a cena | www.editbrewing.com


Ristorante Sabaudia, se la tradizione non ha paura di cambiare

Ho appena finito di ascoltare il secondo episodio di Morsi, il podcast di Margo Schächter che approfondisce vari argomenti nel mondo della gastronomia, e una volta di più mi sono ritrovata a pensare che no, quella italiana non è necessariamente e per diritto la cucina migliore al mondo. Come ha specificato uno degli ospiti, l'Italia è terra di contaminazioni e con esse dovrebbe imparare ad arricchirsi invece che imbruttirsi attraverso sterili e continue polemiche (per non parlare della violenza verbale che alcuni argomenti - come l'ananas sulla pizza - generano). La nostra penisola, inoltre, offre una tale varietà di piatti e ingredienti regionali che è pressoché impossibile chiamare la sua cucina semplicemente "italiana".

E questo argomento mi ha fatto pensare a un ristorante provato solo di recente, nonostante la sua lunga storia. Sto parlando del Ristorante Sabaudia, situato a pochi passi dalla Palazzina di Caccia di Stupinigi - non lontano dal centro di Torino - dove un tempo viveva la servitù reale.

Il ristorante, fondato nel 1996 dalla famiglia Pavan, oggi è guidato ancora da un componente della famiglia - Andrea - che con passione si occupa di tramandare la tradizione della cucina piemontese, come i plin fedeli alla ricetta della nonna datata 1927. Ma la cucina, dicevamo, è evoluzione e senza innovazione si rischia di restare fermi in schemi che rischiano di diventare noiosi e polverosi.

Così, complice il fermo obbligato portato dal lockdown, Andrea si è ritrovato a ragionare sul futuro del Ristorante Sabaudia e tra i 32 stagisti passati dalla sua cucina, ha scelto Teo Prandi perché portasse a Stupinigi qualche novità, senza però stravolgere l'impostazione classica del locale:"Io sono fatto per la tradizione, ma credo che rinnovarsi sia fondamentale" dice Andrea Pavan.

Qui si mangia sia carne che pesce - alla carta o con il menù degustazione - viaggiando tra passato e presente, in un insieme di sapori confortanti che potrebbero osare un po' di più sulla "diversità", senza timore di non piacere. Il tentacolo di polpo croccante e leggermente piccante è un omaggio al Sud Italia mentre il cannolo ripieno di insalata russa è un incontro tra regioni ben riuscito.

Al Ristorante Sabaudia si sta bene: per l'ambiente accogliente, il servizio curato ma non formale, per i piatti che rendono felice il pranzo della domenica ma che sono adatti anche una pausa infrasettimanale. "Fino a che avrò ricette da sperimentare vorrà dire che ci sarà qualcosa da dire. Quando non ci saranno più stimoli, sarà arrivato il momento di smettere" ha detto Teo Prandi. Intanto, io devo tornare presto per il sontuoso carrello dei formaggi e per il Tournedos di foie gras (my guilty pleasure).

Infine, ma solo in occasione del Sonic Park nel Parco di Stupinigi, si deve provare Scrocchia: la focaccia croccante in versione gourmet.

Ristorante Sabaudia: Viale Torino, 11, 10042 Stupinigi (TO) | t 011 358 0119 | Sito web


Il Giardino di Daniel Spoerri: dalla Eat Art al parco artistico vicino a Siena

Una scoperta casuale e improvvisa, girovagando tra le colline in provincia di Grosseto. Quello di Daniel Spoerri è un parco artistico da esplorare a piedi, con calma, accompagnati dal frinire delle cicale.

Aperto al pubblico nel 1997, è situato alle pendici del Monte Amiata, a circa 60 chilometri a sud di Siena. Le mappe antiche definivano questo luogo "Paradiso", forse per il clima mite ma anche per la posizione privilegiata, in cima a una collina.

Daniel Spoerri, eclettico artista svizzero di origine romena, qui volle allestire un’area campestre di 16 ettari con opere d'arte contemporanea, avvalendosi di importanti artisti come Eva Aeppli, Arman, Erik Dietman e Jean Tiguely.

La vegetazione lasciata per lo più allo stato selvaggio (a eccezione dei sentieri) è parte integrante del progetto: lungo il percorso, infatti, bisogna aguzzare gli occhi per scorgere le creazioni più piccole e curiose. Le installazioni maggiormente scenografiche sono certamente la Chambre n.13, i giganteschi suonatori di tamburi seguiti da 160 oche e altre figure misteriose come draghi sputafuoco, nani e guerrieri, in un ricco allestimento in bilico tra sogno e realtà.

Nel punto più alto del giardino, poi, c'è il labirinto, costituito da un sentiero murato lungo 500 metri, la misteriosa formazione circolare di teste equine, ideale ombelico del mondo, con vista panoramica a 360° che dalla montagna arriva fino al mare.

Tutto è in armonia con l'ambiente, fatto di macchia mediterranea, olivi e castagni.

Un luogo alchemico, dove interrogarsi sul ruolo dell'Uomo sulla Terra e dove mettere alla prova tutti i cinque sensi. La visita parte dal piccolo borgo adiacente al parcheggio e dura circa tre ore; di fronte alla biglietteria c'è anche un piccolo ristorante dove provare le specialità della cucina toscana. E se avrete la fortuna di incontrare Spoerri, concedetevi del tempo per una conversazione ad alto contenuto di bellezza.

Il mio reportage sul Parco pubblicato su CamperLife/aprile 2022

La Eat Art di Daniel Spoerri

Mai come oggi il cibo è al centro di conversazioni e programmi televisivi, ma fu Daniel Spoerri, nel 1967, a inventare la Eat Art in quanto performance interattiva. L'artista ha da sempre una vera passione per tutto ciò che ruota intorno al cibo, utensili compresi. Con questo movimento Spoerri intendeva avviare una riflessione critica sui principi fondamentali della nutrizione, ma anche celebrare la ritualità del pasto quotidiano. Un esploratore contemporaneo a cui va il merito di avere illustrato in maniera pop l’attrazione dell’umanità nei confronti del tema cibo, osservato come interfaccia fondamentale fra arte e vita.

Tra le sue tante opere, famosi sono i tableaux-pièges (letteralmente quadri-trappola) che non riguardano solo il cibo, ma tutta una costellazione di oggetti conviviali che testimoniano un ordinamento culturale e sociale della nostra vita. Le tavole verticali si trasformano quindi in opere paradossali che, mentre cercano di completare il passaggio evolutivo del cibo da atto per la sopravvivenza a un rituale staccato dalla quotidianità, finiscono per deteriorarsi davanti agli occhi degli spettatori, che si ritrovano a riflettere su cibo, arte e morte.

 

Guarda il video che ho realizzato.

Info utili

Il parco è visitabile dal mercoledì alla domenica, dalle 10.30 alle 17.30. Dal 1° novembre al 31 marzo solo su prenotazione.

Ingresso: 10 € adulti | 8 € studenti | gratuito per bambini fino a 8 anni

Info: www.danielspoerri.org


Galateo del Ramen: come mangiare la più famosa delle zuppe

È sempre bene partire informati quando si parte per un Paese con abitudini tanto diverse dalle nostre. Il Giappone è famoso per i suoi riti e tradizioni, anche a tavola, e conoscerne il galateo evita brutte figure. In particolare, il Ramen è uno dei piatti nipponici più amati anche in Italia ma possiamo davvero dire di conoscerlo?

Cos’è il Ramen?

Si tratta di una zuppa a base di tagliatelle di frumento in brodo di pesce o carne (ma c'è anche la versione veg); normalmente viene servito con aggiunta di fette di maiale, alghe, uova sode e cipollato. Le sue origini sono cinesi ma raggiunse il Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale quando si diffuse sul mercato la farina economica importata dagli Stati Uniti d’America i soldati giapponesi, che nel frattempo avevano imparato la cucina cinese, rientrarono in patria.

Dagli anni Ottanta il è diventato il piatto, oltre al sushi, che meglio rappresenta il Giappone nel mondo. In ogni parte del Paese se ne può mangiare una versione differente: a Sapporo, ad esempio, è famoso quello in brodo di miso, arricchito con germogli di fagioli, maiale tritato, aglio, mais dolce e burro. L’ideale durante i rigidi inverni. A Tokyo, invece, si utilizzano tagliatelle un po’ più spesse del normale servite in brodo di pollo e soia.

Come si mangia?

Si dice che la zuppa vada mangiata in otto minuti netti: il tempo che ci mettono le tagliatelle a scuocere; l’esatto contrario delle buona norma che insegna a mangiare lentamente e a masticare a lungo. La corretta posizione per sorbire il Ramen, inoltre, è con il viso vicino alla ciotola, che va tenuta con una mano mentre con l’altra si introducono velocemente le tagliatelle in bocca, con l’aiuto delle bacchette. Per questi motivi, il vero mangiatore di Ramen non va al ristorante, ma lo consuma nella privacy di casa propria. Le bacchette, inoltre, devono essere rivolte sempre verso l’interno della ciotola e mai verso l’alto, perché in quel modo vengono fatte le offerte ai morti.

 

Scegliere la versione per te

Sembra facile dire Ramen, eppure ce ne sono diverse versioni ed è bene conoscerne le differenze prima di scegliere:

  • Nabeyaki Ramen, il ramen in pentola (Kochi): Nato nel periodo subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando il proprietario di un negozio decise di trasportare ramen in vasi smaltati per non farli raffreddare. Molto semplice è tipico di Shikoku: la base è la zuppa di brodo di pollo con salsa di soia, guarnita da chikuwa (prodotto a base di surimi).
  • Torimotsu Ramen, il “ramen dell’amore” (Yamagata): Composto da frattaglie di pollo Tori motsu, è popolare nell’area di Shinjo, dove vengono comunemente allevati i polli di cui si mangiano anche le frattaglie. Il motsu-ni, frattaglie di pollo bollite, è diventato un piatto popolare nei bar, così la gente del posto ebbe l’idea di aggiungerlo al ramen. Siccome la pronuncia di tori motsu è analoga alla parola ‘accoppiamento’ in giapponese, è anche conosciuto come “ramen dell’amore”.
  • Muroran curry Ramen (Hokkaido): Versione al curry del ramen nato nel 1965 presso il ristorante Ajinodaiō a Muroran, città in cui è particolarmente diffuso.     Il piatto contiene soprattutto noodles spessi a base di grano di Hokkaido; la zuppa è sia dolce che piccante e ha una base di brodo di ossa di maiale. Il piatto infine, è comunemente condito con char siu (carne arrosto), alghe Wakame e germogli di soia.
  • Tokushima Ramen (Tokushima): È identificabile dai suoi colori. Questa zuppa è marrone, gialla o bianca e dipende da cosa è stato utilizzato per preparare il brodo (ossa di maiale, pollo o tonnkotsu, zampini di maiale). Le tagliatelle nel brodo sono moderatamente sottili e morbide.
  • Banshu Ramen (Hyogo), la versione “dolce”: Nato nella città di Nishiwaki, è un piatto unico di ramen con brodo di salsa di soia dolce, noodles sottili e ricci. Questo ramen dal sapore dolce è nato per le donne operaie delle fabbriche tessili molto diffuse in questa zona.

Battistero Duomo Chieri

De Gustibus: a Chieri la ristorazione si fa sostenibile

Quando vado a provare un ristorante in un luogo che non conosco, mi piace fare un giro nei dintorni per capire il contesto. Così, prima di un piacevole pranzo alla tavola di De Gustibus ho passeggiato tra le vie di Chieri, piccolo e grazioso paese in provincia di Torino.

Tante le teorie sull'origine del suo nome: una dice che deriverebbe da kair, termine celtico che significa roccaforte, e suggerirebbe l'origine da un insediamento fortificato di epoca celtica. Un'altra ipotesi invece trova radici nel latino Cerium, città dei ceri, per la numerosa presenza di ceri votivi, anche grazie alle tante chiese cittadine.

Palazzi medievali e strade curate sono un motivo valido per trascorrere in centro qualche ora, ma il Duomo mi ha sorpresa per bellezza e raffinatezza. Fu edificato nel 1037 per volere di Landolfo, Vescovo di Torino, ed è tuttora uno dei maggiori esempi dello stile gotico piemontese. La facciata è suddivisa in cinque zone, mentre all’interno le tre navate sono decorate da diverse cappelle laterali, ma è il Battistero - con il soffitto tutt'uno con il cielo - ad avermi davvero affascinata: costruito probabilmente in epoca precedente rispetto al Duomo e annesso solo successivamente, custodisce splendidi affreschi quattrocenteschi attribuiti a Guglielmetto Fantini.

Ma non di sola arte si vive e De Gustibus offre un altro ottimo motivo per organizzare una gita a Chieri (da cui si può poi proseguire per Langhe e Monferrato).

De Gustibus, sostenibilità nell'essere creativi

Ultimamente si fa un gran parlare intorno al tema della sostenibilità. C'è chi dice sia necessario diventare vegani, altri - come me - sostengono invece che sia più equilibrato ridurre le proteine animali scegliendo con attenzione ciò che si mangia: qualità ed etica devono essere il fattore principe. Ma tutto questo come si applica nella ristorazione?

De Gustibus è un piccolo ristorante da sedici/diciotto coperti gestito interamente da due persone: Davide Cristaldi, lo chef, e Giulia Mandara, in sala. Un progetto comune nato in piena pandemia che, fin da subito, è stato impostato in modo da essere sostenibile economicamente e in fatto di sprechi. "Vedo colleghi con l’orto, con i pannelli fotovoltaici che poi non riescono a gestire le scorte, la spesa, il foodcost. E gettano via tantissimo cibo. Come può essere sostenibile un ristorante del genere?" dice Cristaldi.

Su queste basi, il ristorante non ha un menù fisso ma i piatti vengono raccontati ogni sera ai commensali, a partire dall'articolato benvenuto. In questo modo non ci sono sprechi e non si rischia di sforare con i costi a causa di aumenti imprevisti delle materie prime: i piatti vengono decisi giornalmente in base alla reperibilità degli ingredienti e, così facendo, viene offerta una proposta sempre nuova che invoglia il cliente a tornare.

Ogni ricetta è un viaggio che racconta dei colori di Sicilia, terra d'origine dello chef, ma anche di terre lontane senza trascurare, naturalmente, i sapori tipicamente piemontesi. L'accoglienza attenta ma informale di Giulia Mandara accompagna nel percorso alla scoperta del mondo variopinto ed elegante di Davide Cristaldi.

De Gustibus, è aperto solo a cena, dal martedì al sabato e la domenica a pranzo.Chiuso il lunedì.

Via Martiri della Libertà 9 10023 Chieri (TO) | t  011 9400713

 

 


Dall'orto ala cucina: con Masseria Petruliva Domenico Volgare porta in tavola la sua terra

Nonostante sia nata e cresciuta in città, sono sempre stata attirata dalla terra e dai suoi frutti più semplici e mia madre mi ha sempre abituata a maneggiare gli ortaggi, per conoscerli e apprezzarli meglio. Sarà forse una classica storia italiana, ma continuo a credere che poche altre cose mi danno più soddisfazione di schiacciare un pomodoro rosso di sole su una fetta di pane, aggiungere un po' d'olio e godermi tutto il sapore del Mediterraneo.

Eppure è sempre più complicato riuscire ad acquistare prodotti di qualità al giusto prezzo. Io sono fortunata perché intorno a casa mia (che non abito più in Torino città da qualche anno) trovo molti produttori da cui approvvigionarmi, ma mi rendo conto che saper distinguere nel mare magnum della Grande Distribuzione non è cosa semplice.

Ma a Torino c'è uno chef che non si ferma mai, soprattutto se si parla di evoluzione e innovazione. Domenico Volgare, chef e patron di Fuzion Food, ha deciso infatti di riconnettersi con le sue radici pugliesi iniziando a produrre grano, pasta, olio e pomodori pelati. Ricevuto in eredità da nonna Maria un appezzamento di terra, Domenico ha subito pensato di cogliere l'occasione per realizzare il sogno di auto-prodursi alcune delle materie prime fondamentali per le sue pizze.

È nata così la Masseria Petruliva, al cui centro sorge un olivo nato spontaneamente sopra un grande masso: un chiaro simbolo di resilienza. Tra le coltivazioni ci sono anche i ceci neri, utilizzati dallo chef per realizzare una saporita e ruvida farinata.

Ma i prodotti della Masseria Petruliva sono disponibili anche per il pubblico presso i suoi ristoranti, Fuzion Food (Via Volta, 4b) e Zio Dome (Via Accademia Albertina, 29) e presso una selezionata rete di attività commerciali di Torino. Niente e-shop "Sarebbe stato uno strumento certo comodo, ma non coerente con il progetto che racconta un territorio reso fertile dal lavoro manuale dei contadini" ha detto Domenico Volgare.


cha chaan teng

Cha Chaan Teng: la tavola calda tipica di Hong Kong

Cibo semplice e a buon mercato da accompagnare al tè. I Cha Chaan Teng sono per Hong Kong quello che in Italia è rappresentato dalle trattorie o - in epoca più recente - dalle gastronomie con somministrazione.

Prima della Seconda Guerra Mondiale, i ristoranti erano inaccessibili per gli abitanti di Hong Kong: un pasto completo poteva costare anche dieci dollari, quando uno stipendio medio andava dai 15 ai 50 dollari al mese. Dopo la Guerra, gli hongkonghesi integrarono le abitudini alimentari tradizionali con quelle occidentali; iniziarono ad apprezzare le torte, ad aggiungere il latte nel tè e crearono i primi Cha Chaan Teng adatti - soprattutto a livello economico - alla popolazione locale. Queste tavole calde divennero particolarmente popolari durante la crisi finanziaria asiatica del 1997 perché permettevano di mangiare piatti dal gusto occidentale a poco prezzo.

I Cha Chaan Teng hanno assunto un'importanza sempre più grande tanto che, nel 2014, una serie di piatti tipici del loro menù sono stati inseriti nel primo inventario del patrimonio culturale immateriale di Hong Kong: tè al latte, Yuenyeung (un drink che unisce tè e caffè), panino all'ananas (una preparazione dolce che, nonostante il nome, non contiene ananas ma lo ricorda nell'aspetto) e crostata all'uovo (una via di mezzo tra la crostata alla crema inglese e il Pastel de Nata portoghese).

Cosa si mangia in un Cha Chaan Teng

In questi locali si può trovare grande proposta di cibi: dalla bistecca ai wonton, al curry, ai panini come il French toast. Sono disponibili sia piatti fast food che piatti à la carte. Un Cha Chaan Teng è spesso composto da tre postazioni principali: un "water bar" dove vengono preparate bevande, toast/panini e noodles istantanei; uno "bancone di noodle" dove trovare noodles saltati al momento e una cucina dove vengono cucinati piatti a base di riso e altre ricette più elaborate e costose.

Le regole del Cha Chaan Teng

Ci sono alcune cose da sapere prima di entrare in un Tea Restaurant:

  1. Il bicchiere d'acqua, spesso calda, che viene portato a tavola appena ci si siede non è da bere, ma serve per lavare gli utensili.
  2. Con il termine "tea" ci si riferisce al poco costoso tè nero, che differisce dal pregiato tè cinese servito nei tradizionali ristoranti Dim Sum e nelle case da tè.
  3. I camerieri di norma tengono penna e taccuino nella tasca della camicia, ma spesso la penna viene messa dietro l'orecchio. È un'immagine tanto comune quanto iconica da essere rappresentata in film e serie televisive.
  4. Siccome i tavoli vengono lavati molto spesso e non hanno il tempo di asciugarsi, comande e ricevute risultano sempre bagnate e con l'inchiostro sciolto.

A questo link trovi una selezione di Cha Chaan Teng fatta dall'Hong Kong Tourism Board